2015-09-21 14:06:00

Mons. Quiroga: grazie al Papa per appello di pace in Colombia


Sull'appello lanciato dal Papa per la pace in Colombia, al termine della Messa nella Piazza della Rivoluzione, prima dell'Angelus, Alvaro Vargas Martino ha intervistato mons. Luis Augusto Castro Quiroga, arcivescovo di Tunja e presidente della Conferenza episcopale della Colombia, sul ruolo della Chiesa colombiana nei dialoghi di pace tra il Governo e la guerriglia delle Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia (Farc) in corso nella capitale cubana L'Avana. Il presule ha voluto tracciare un breve profilo storico sugli attuali dialoghi di pace e come si è arrivati a L’Avana ...

R. -  La strada che è stata percorsa per arrivare a L’Avana è cominciata con un processo molto privato, un dialogo, qui, nella città di Bogotà, tra il Governo e la guerriglia, con lo scopo di verificare se, effettivamente, loro volevano andare fino in fondo, cioè, fino a terminare il conflitto e deporre le armi. Una volta verificato che avevano questa buona volontà, questa intenzione, allora, loro stessi – Governo e guerriglia- si sono accordati di iniziare questo dialogo e renderlo pubblico, a L’Avana. È molto più facile farlo là, nel senso che ci sono meno interferenze, meno difficoltà rispetto a farlo qua (in Colombia, ndr). Questo è iniziato e mi pare che sta procedendo molto bene proprio perché si tiene in un luogo un po’ isolato dove è possibile dialogare tranquillamente.

D. -  Perché proprio a L’Avana e non in un’altra città o in un altro Paese estero?

R. - C’è l’idea che la guerriglia abbia più fiducia di Cuba che di altri Paesi. Lì si sentono più sicuri, più protetti, e Cuba ha risposto effettivamente con la sicurezza, mettendo a disposizione, con una gentilezza unica, tutto il necessario perché questi dialoghi si potessero svolgere nel migliore dei modi. Mi pare che è stata più un’idea della guerriglia, però penso che tutti erano d’accordo sul fatto di continuare questi dialoghi fuori dalla Colombia. Anche se non era esattamente L’Avana il luogo scelto dal Governo, penso che, alla fine, è stata una buona decisione. Io sono stato diverse volte a L’Avana, ci sono stato sei volte, accompagnando le vittime del conflitto, che erano dodici alla volta, e così ho potuto constatare come il Governo di L’Avana è stato molto gentile, molto sollecito, nel dare il proprio aiuto in qualunque cosa, dal servizio dall’aeroporto al centro dove si tenevano le riunioni, ad altri servizi che si rendessero necessari.

D. - Sappiamo dell’importantissimo ruolo che la Chiesa colombiana sta svolgendo nell’accompagnare i dialoghi di pace. Ma quale è l’impegno della Chiesa colombiana in favore della popolazione colpita dal conflitto nel Paese?

R. - Il nostro impegno è, prima di tutto, che queste vittime smettano di considerarsi vittime e siano persone sopravvissute a qualcosa di difficile, però che hanno ripreso nelle loro mani la propria vita e, con l’aiuto di Dio, hanno fatto un progetto di vita nuovo, un progetto nel quale non si sentano vittime, perché essere vittima è una disgrazia. Non esistono vittime felici, sono due parole che si contrappongono. Questo, da una parte. D’altra parte, noi insistiamo molto sul perdono e la riconciliazione, ma prima di tutto sul perdono, perché il perdono è un dono della vittima al “carnefice”. Il perdono è un momento di liberazione da tante cose che si possono portare nel cuore e che arrecano amarezza, che rendono la vita triste e difficile, per cui l’insistenza sul perdono è molto importante. Poi, qui tutti parlano di riconciliazione e speriamo che anche questo si dia poco a poco. Evidentemente, anche con queste cifre altissime di colombiani vittime della violenza, molti hanno compiuto questo passo verso il perdono, ma io direi che mancano ancora tantissimi altri, per cui ancora ci sono sentimenti d’odio, di vendetta e di tante cose negative, perché non è facile superare questo tipo di situazioni, non è facile neanche perdonare, ma questo è un compito che bisogna continuare. In questo senso, gli interventi del Papa sono meravigliosi per aiutare queste persone a essere diverse.

D. - Riguardo al ruolo specifico dei rappresentanti della Chiesa colombiana nel tavolo dei negoziati?

R. - Noi non abbiamo un ruolo nel tavolo dei negoziati, perché i negoziati sono un fatto al cento per cento politico. Noi siamo stati a L’Avana diverse volte, ma, come ho detto, prima di tutto, per accompagnare le vittime, e per fare da moderatori, cioè, coordinare i dialoghi tra le vittime e il tavolo dei negoziati. Quello sì, l’abbiamo fatto. Siamo stati presenti in tutti gli incontri. Gli altri sono aspetti che non richiedono la nostra presenza. Semplicemente, seguiamo da fuori tutto il processo. Però, bisogna anche dire che siamo andati a L’Avana per partecipare nel processo del dialogo, ma al di fuori dello stesso dialogo e per incontrare le stesse persone, e cioè, i membri del tavolo dei negoziati. E questo lo abbiamo fatto anche ultimamente quando abbiamo avuto un incontro con i rappresentanti della Guerriglia delle Farc.








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