2015-09-21 12:44:00

A Praga riunione vertici Ue e Paesi Est contrari a quote migranti


A Praga riunione tra la presidenza lussemburghese di turno dell'Ue e i Paesi dell'Europa centrorientale finora refrattari al sistema europeo di redistribuzione dei migranti, in base alle cosiddette quote. All'incontro straordinario, partecipano i Paesi del gruppo di Visegrad (Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria) più Romania e Lettonia. Discussione ancora aperta sulle possibili opzioni alternative per i Paesi che rifiutano i migranti e la costruzione degli hotspot di accoglienza e smistamento.Intanto la cancelliera tedesca Merkel e il presidente francese Hollande fanno sapere che il 7 ottobre interverranno assieme alla sessione plenaria del Parlamento europeo a Strasburgo. unico precedente simile nel 1989.  Fausta Speranza ha intervistato Alfonso Giordano, docente di geopolitica e flussi migratori all’Università Luiss:

R. – Il problema è che stiamo ancora intendendo la questione - e questo lo dicono anche e soprattutto i media e i politici - come una questione di emergenza. Lo Stato è strutturale e se non si prendono delle azioni strutturali da parte di tutti i Paesi europei - quindi tutti assieme - mettendo in riga anche quelli che non ci stanno, il problema si riproporrà all’infinito. Il punto è che nei prossimi almeno 20-25 anni non possiamo aspettarci qualcosa di diverso. Quindi, è una questione demografica, una questione geopolitica che ci porterà sempre a questi flussi, che vanno in qualche modo gestiti e gestione significa capire che è un problema strutturale e non emergenziale.

D. – Capito questo, poi, quali primi passi doverosi da fare, secondo lei?

R. – I primi passi doverosi da fare sono da parte degli Stati. Certo si richiama sempre la responsabilità dell’Unione Europea, che ha le sue responsabilità, ma è un problema anche di egoismi nazionali. La Germania ci ha provato per un po’ a superare la logica egoistica. Quindi, quello che bisognerà fare è mettere tutti attorno ad un tavolo, rendere conto di questa situazione e soprattutto avere il coraggio politico di non dover rispondere necessariamente alla pancia degli elettori. Il problema, infatti, è proprio questo: i politici prendono degli accordi a Bruxelles, che vengono poi puntualmente smentiti di fronte alle televisioni e di fronte ai propri elettori, perché è un tema sensibile, caldo e pericoloso. Quindi, ci vuole una chiamata alla responsabilità generale, soprattutto da parte dell’Unione Europea nei confronti dei Paesi che sono meno disponibili a questo tipo di attività.

D. – Anche le Nazioni Unite dovrebbero essere coinvolte o no?

R. – Sicuramente è una questione che va affrontata nella sua gravità. Le Nazioni Unite dovrebbero essere sicuramente coinvolte, non solo nel ribadire quelli che sono i diritti umani, ma anche nell’intraprendere delle azioni dirette sul territorio. Il che significa autorizzare anche delle operazioni, non dico militari, ma operazioni di controllo, di ristabilimento della pace. Il problema fondamentale, infatti, è in quelle aree da dove effettivamente le persone scappano: non hanno altra soluzione che buttarsi nel mare. Rischiano meno nell’andare in mare che restare nella loro terra. Quello che va fatto è ristabilire la situazione di vivibilità in quella parte di mondo. Naturalmente questo significa anche un investimento da parte dei Paesi sull’estero, e questo significa una politica estera che al momento sappiamo è latitante; degli investimenti monetari, perché queste sono operazioni che costano; e, oltre a questo, anche un investimento morale da parte di alcuni Paesi, per poter gestire le operazioni fuori dai propri territori. Torno a dire, quindi, che non è un fatto emergenziale, ma strutturale. E, soprattutto, non è più solo un problema di politica interna, legata al welfare o all’accoglienza o all’integrazione, che sono cose importantissime, ma ormai anche a questioni di politica estera, legate a situazioni esterne, all’Unione Europea, sulle quali non abbiamo nessun tipo di controllo, e quindi i flussi continuano assolutamente in maniera ingestibile.

D. – Anche gli equilibri all’interno delle Nazioni Unite sono equilibri vecchi con altre dinamiche mondiali o no?

R. – Assolutamente. Le dinamiche sono uscite fuori dalla Seconda Guerra Mondiale, ma il mondo è totalmente cambiato sia dal punto di vista demografico che dal punto di vista economico e politico. E di questa cosa si stenta a prendere atto. Anche lì, quindi, c’è un problema legato ad una decisionalità che è legata a vecchi schemi di oltre 60 anni. Per cui ci vorrebbe un rinnovamento politico. Diciamo che la questione principale è soprattutto politica. Con questo non bisogna dare il carico o la colpa ai politici, ma è una questione di visione politica, che va condivisa anche con la popolazione. Mi rendo conto che non è un’operazione facile, ma è un’operazione necessaria soprattutto nel lungo termine.








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