2015-09-17 15:00:00

P. Gonzales: Chiesa cubana, punto di riferimento per tutti


Cuba si prepara ad accogliere Papa Francesco, il terzo Pontefice che viene nell’isola caraibica: un record condiviso solo con il Brasile. Il Pontefice si fermerà a Cuba quattro giorni, dal 19 al 22 settembre. Con quali sentimenti i cubani attendono il Papa argentino? Il nostro inviato Sergio Centofanti lo ha chiesto a padre José Miguel Gonzales Martin, direttore della Casa sacerdotale san Giovanni Maria Vianney dell’Avana:

R. – Io direi con tantissima speranza, perché il Papa per noi viene come missionario della Misericordia. Il popolo cubano in generale - non soltanto la Chiesa cattolica - ma tutti noi aspettiamo che il Papa ci possa dare una parola di speranza, di gioia, in questo preciso momento in cui Cuba sembra che si stia aprendo un po’ di più al mondo e si stiano compiendo le parole profetiche di San Giovanni Paolo II.

D. – In merito a questi grandi cambiamenti qual è la situazione?

R. – La situazione in cui vive la gente continua ad essere la stessa: non si vedono ancora tanti cambiamenti nel modo di vivere quotidiano. Ma comunque aspettiamo, perché in futuro questi cambiamenti, che per il momento sono presenti soltanto ad alto livello, possano migliorare la vita quotidiana della gente. Ci sono tantissime difficoltà e la vita qui è un po’ difficile per tutti…

D. – Quali sono le speranze dei cubani?

R. – La speranza è sempre quella di avere un futuro migliore e che non ci sia la necessità di lasciare la propria patria. Anche la Chiesa cattolica soffre per l’emigrazione di tante persone buone, preparate, che scelgono di partire per gli Stati Uniti, la Spagna, l’Italia, per cercare un futuro migliore. Allora, la prima speranza è che, se c’è più lavoro, se la situazione economica migliora e se le libertà crescono, potremo avere un Paese in cui non ci sia più bisogno di emigrare. Anche dal punto di vista spirituale serbiamo altre speranze: che le persone che vivono qui a Cuba possano pensare da sole, nella libertà, possano agire liberamente, senza una forma di tutela da parte dei governanti.

D. – Che Chiesa è quella di Cuba?

R. – La Chiesa di Cuba è una chiesa povera, nel senso del numero dei sacerdoti. Non siamo tanti: siamo circa 300 sacerdoti per undici diocesi e alcune di queste hanno solo cinque, sei o sette sacerdoti. È una chiesa minoritaria, molto minoritaria e impoverita, perché ha pure perso tanti laici ben preparati, che se ne sono andati negli Stati Uniti, in Spagna e in altri Paesi. È una Chiesa povera, ma significativa: la società cubana in generale ha un grandissimo rispetto per la Chiesa cattolica, per i vescovi e per i sacerdoti. Lo dico senza orgoglio: siamo sempre un punto di riferimento per tante persone, pure per quelle che non vengono in Chiesa, e addirittura – io direi – anche per alcuni che neanche credono, cioè per gli atei: anche loro hanno un’ammirazione per la Chiesa. Allora, penso che da questo punto di vista la Chiesa cattolica abbia un compito essenziale nel presente e nel futuro di Cuba. E questo è stato messo in luce grazie al ruolo e all’intervento del Papa nel processo di negoziato per recuperare le relazioni con gli Stati Uniti e anche grazie al cardinale Ortega, arcivescovo dell’Avana, e al lavoro quotidiano di tanti vescovi, sacerdoti… Cerchiamo di aprire le porte al dialogo, non soltanto con il governo e con le istanze politiche, ma anche con la gente e con tutta la società.

D. – La Chiesa sta acquistando nuovi spazi di azione…

R. – Io direi “piccoli” nuovi spazi di azione: per noi sarebbe una cosa buona averne di più. Ma non abbiamo molti soldi per poter cominciare dei servizi, ad esempio nella radio, nei mezzi di comunicazione… Forse in un futuro prossimo avremo nostre scuole … Ma questo per noi è ancora il futuro: dobbiamo essere pronti per aprirci a queste possibilità.








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