2015-09-16 14:17:00

La Croazia apre ai migranti. Esperti Ue nei centri di identificazione


La Croazia lascerà passare i migranti e i profughi che nelle ultime ore hanno cominciato ad affluire nel Paese per aggirare il muro anti immigrati ungherese. In Ungheria nuove tensioni davanti al muro al confine con la Serbia. Intanto la Commissione Europea fa sapere che "gli esperti di Easo, Frontex, Eurojust ed Europol sono in Italia e gli hotspot stanno iniziando a funzionare, quindi i ricollocamenti si potranno fare da inizio ottobre": Il servizio di Marco Guerra:

Sono 277 i migranti entrati finora in Croazia dalla Serbia dopo la chiusura del confine serbo-ungherese. Molti di loro, siriani e afghani con bambini al seguito sono giunti a bordo di 6 autobus provenienti dal sud della Serbia dove i profughi affluiscono da Grecia e Macedonia. E  in quest’ultimo Paese nelle ultime 24 ore si registrano circa 5000 ingressi. "La Croazia è assolutamente in grado di accogliere e indirizzare queste persone dove desiderano andare, vale a dire la Germania o alcuni paesi scandinavi", ha detto il premier croato Milanovic.  Intanto al confine tra Ungheria e Serbia sono scoppiati incidenti tra polizia magiara e un gruppo di migranti che cercava di abbattere il filo spinato, mentre le autorità di Budapest hanno già arrestato 367 migranti  dopo l’entrata vigore della nuova legge anti-immigrazione. Della creazione dei centri di identificazione – i cosiddetti ‘hotspot’ - in Grecia e Italia come condizione per la redistribuzione dei richiedenti asilo,abbiamo parlato con la Direttrice del Consiglio italiano rifugiati Fiorella Rathaus:

R. – L’intero quadro è davvero poco chiaro. Però in questo famoso “Hotspot Approach” si parla di gestione locale supportata da Easo, da Frontex ,da Europol e Eurojust. Queste quattro agenzie lavoreranno insieme agli Stati membri per ottemperare a questo obbligo di identificazione. Chiaramente qui si aprono scenari molto complessi  che ci creano gravi preoccupazioni. Innanzitutto, gli hotspot sembrano, per loro natura, dei centri chiusi; questo mi sembra il punto più qualificante o squalificante nel caso specifico, perché effettivamente nessuna misura di trattenimento obbligatorio può essere applicata su richiedenti asilo senza che ci sia un presupposto giuridico condivisibile e oggettivo.

D. - Ci può elencare altre criticità?

R. - In primis, in questo momento, questi hotspot sembrerebbero la condicio sine qua non del passaggio alle riallocazioni previste dal programma europeo. In tutti questi programmi viene menzionato il fatto che questa sarà la sede di una necessaria identificazione e - nel passaggio successivo - di una valutazione di chi è destinatario di protezione internazionale e chi no. Entrambi i punti ci creano gravi perplessità. Innanzitutto, non si capisce bene come all’interno di questo luogo sarà possibile procedere all’identificazione, visto che fin qui è stato un argomento così drammaticamente difficile da affrontare per le forze di polizia italiane perché le persone si sottraggono volontariamente per la questione del Trattato di Dublino, cheprevede di restare nel Paese dove sei stato identificato. Quindi, non possiamo immaginare che magicamente gli addetti di Frontrex piuttosto che altri ufficiali europei possano riuscire ad ottenere che queste persone accettino una procedura di identificazione. Non è che siamo fautori di un’alternativa in questo momento impossibile. Il punto, però, è che non possiamo immaginare che solo l’esistenza degli hotspot possa magicamente risolvere il problema intrinseco del fatto che le persone si sottraggono a questa procedura. Speriamo di non dovere immaginare che all’interno degli hotspot dovranno essere adottate misure coercitive in questo senso.

D. - Quindi materialmente chi dovrà identificare e con quali strumenti potrà riuscire ad identificare questi migranti?

R. - Il sistema previsto è quello di sempre:  foto segnalamento, fingerprints (impronte digitali), … Il problema è come immaginare che questo passaggio diventi imprescindibile, visto che fin qui è stato così problematico, non perché le forze di polizia italiane o chi per loro si sottraevano al compito, ma perché oggettivamente i richiedenti asilo spesso non accettavano questo passaggio per sottrarsi al regolamento di Dublino. Dunque, in questo momento non abbiamo ricette alternative, ma sappiamo che non da un momento all’altro e per miracolo succederà qualcosa di diverso. Il problema di identificazione continuerà ad essere un problema di difficile soluzione. Dobbiamo augurarci che la soluzione non sia quella di un passaggio coercitivo.

D. - Si può sperare almeno in una velocizzazione dei tempi delle procedure per riconoscere lo status di rifugiati?

R. - Tutti auspichiamo che i tempi delle procedure siano più brevi di quelli attuali, per carità. Ma non è possibile decidere su due piedi chi merita protezione e chi deve essere rimandato a casa. Queste persone vengono a chiedere asilo e nel momento in cui lo fanno non è possibile sottoporli ad una procedura sommaria come quella che potrebbe essere garantita in tempi così brevi - due-tre giorni - all’interno degli hotspot. È importante anche per decidere chi dovrà procedere al ricollocamento che le persone non vengano rinviate, rimpatriate, senza aver avuto la possibilità di esprimere in modo corretto le ragioni che li hanno portati in Italia a chiedere asilo, ed è altrettanto importante che sia rispettato il loro successivo diritto al ricorso, nel caso la decisione non sia loro favorevole.








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