In Myanmar, la Chiesa si unisce all’allarme lanciato dall’opposizione sulle nuove “Leggi a difesa della razza e della religione” approvate lo scorso mese di agosto dal Parlamento su pressione di frange estraparlamentari buddhiste. Il pacchetto legislativo, voluto dal Comitato per la protezione della nazionalità e della religione (Ma Ba Tha, in sigla), comprende misure contro i matrimoni misti, le conversioni religiose e la poligamia e per il controllo delle nascite.
Il Paese ha bisogno di pace e riconciliazione
Secondo gli attivisti per i diritti umani e i movimenti dell’opposizione, le nuove
leggi ledono i diritti e le libertà dei cittadini e potrebbero diventare una nuova
arma per colpire le minoranze e i gruppi più emarginati del Paese, in particolare
musulmani di etnia Rohingya. Una preoccupazione condivisa dal card. Charles Maung
Bo che, in un messaggio ai governanti e al popolo birmano in vista delle prossime
elezioni parlamentari di novembre, richiama l’attenzione sulla pericolosità delle
misure in questione per l’unità del Paese e per il fragile processo di democratizzazione
avviato nel 2010. Nel messaggio – riporta l’agenzia Eglises d’Asie - l’arcivescovo
di Yangon parla di una nazione “ancora una volta” a un “crocevia, divisa fra speranza
e disperazione”, dopo aver vissuto oltre “cinquant’anni di oppressione politica”.
“Il Myanmar – ammonisce - non può andare verso un conflitto permanente. Cinquant’anni
di agonia bastano. Abbiamo bisogno di pace. Abbiamo bisogno di riconciliazione. Abbiamo
bisogno di una identità condivisa e di cui fidarsi, in quanto cittadini di una nazione
che nutre speranza”.
Un’offesa agli insegnamenti buddisti e una minaccia alla democrazia
Secondo il porporato, le nuove leggi “sembrano aver suonato la campana a morto” per
tutte queste speranze di cambiamento, di unità e di rinascita democratica del Paese.
Esse – sottolinea - sono il frutto della campagna di “odio” di alcuni gruppi radicali
che mirano ad “istituzionalizzare ideologie estremiste”, offendendo Buddha e gli insegnamenti
di pace, misericordia e compassione del buddhismo. Di qui l’appello rivolto ai leader
politici e agli eletti a rivedere queste leggi per scongiurare il pericolo di “altri
conflitti nei decenni a venire”.
La vera sfida del Paese è la povertà, non le conversioni religiose
Il messaggio richiama, infine, l’attenzione sulla vera sfida cui il Paese dovrebbe
dare una risposta concreta. Il pericolo più grande – avverte il card. Bo - non sono
le conversioni religiose ma “la povertà… che è la religione comune della maggioranza
dei cittadini birmani. Il 30% della nostra gente - ricorda - vive in condizioni di
povertà, un dato che negli Stati Rakhine (dove vive la minoranza Rohingya) e Chin
raggiunge punte del 70%”. “Come nazione - conclude il porporato - è necessaria una
vera conversione per questo 30% della popolazione costretta a subire una religione
oppressiva chiamata povertà”. (L.Z)
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