2015-09-15 12:40:00

Carriquiry: Francesco a Cuba per abbracciare il popolo


L’isola di Cuba, meta della prima parte dell’imminente viaggio apostolico del Papa, ha vissuto momenti difficili negli ultimi decenni, ma ora, grazie al riavvicinamento con gli Stati Uniti tanto auspicato anche dalla Chiesa locale, si aprono per il popolo e i fedeli nuove prospettive. Del significato del viaggio di Francesco nell’isola caraibica, Roberta Barbi ha parlato con il prof. Guzmán Carriquiry, segretario della Pontificia Commissione per l’America Latina:

R. – Alcuni hanno voluto sottolineare la dimensione politica di questo viaggio nei tempi di riallacciamento dei rapporti tra Stati Uniti e Cuba, tenendo presente che il Papa parlerà al Congresso degli Stati Uniti, all’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Ma non è un’intenzionalità politica ciò che porta il Papa a Cuba e negli Stati Uniti, bensì uno scopo pastorale e missionario: questo è molto importante, bisogna riaffermarlo con forza. Il Papa va a Cuba per abbracciare nella carità di Cristo tutto il popolo cubano, per confermare la fede dei cattolici cubani, per ringraziare la Chiesa cubana per la sua fedeltà e per incoraggiarla oggi a prestare un prezioso servizio per tutta la nazione in tutti gli ambiti, in tutte le dimensioni della vita del Paese.

D. - La Chiesa cubana ha vissuto momenti di grande difficoltà negli ultimi decenni. Ora ha davanti a sé nuove prospettive, anche di presenza nella società. Qual è la sua riflessione?

R. - Bisogna affermare, prima di tutto, che Cuba a differenza dei regimi sovietici dell’Europa orientale non ha mai rotto i rapporti diplomatici con la Santa Sede, anzi, questi sono migliorati negli ultimi anni, così come sono migliorati i rapporti di dialogo tra le autorità cubane e quelle ecclesiastiche. Questo è importante, però è ancora più importante sottolineare questa rinnovata vitalità della Chiesa di Cuba. Il pellegrinaggio della Vergine della Carità del Cobre dal 2010 alla fine del 2011 ne fu un segno evidente, accolta in tutte le case, nei luoghi di lavoro, di vita dei cubani tra lo stupore e la devozione, l’entusiasmo. Fu come l’inizio di un rilancio della presenza della Chiesa nel tessuto vivo del popolo cubano. Oggi la Chiesa di Cuba è un grande segno di speranza. La Chiesa non chiede privilegi per se stessa, ma una sua maggiore presenza nelle istanze educative, della comunicazione sociale, dei servizi sociali, della carità e in tutti gli ambiti della vita pubblica del Paese, sarebbe un segno di maggiore spazio di libertà per tutti.

D. - Il popolo cubano sta vivendo un periodo di grandi cambiamenti, ma anche di grande speranza. Qual è il suo auspicio?

R. - Ricordo quelle parole profetiche di San Giovanni Paolo II, quando disse: “Cuba si apra al mondo e il mondo si apra a Cuba”. Oggi sembra realizzarsi questo auspicio in modo singolare. “La Chiesa costruisce sempre ponti - come dice Papa Francesco – non muri”. Il superamento di questi 50 anni di contrapposizione tra Stati Uniti e Cuba è un grande bene. Certamente è importante per una distensione dei rapporti e sono convinto che il Santo Padre Francesco chiederà - come lo hanno fatto i suoi predecessori - di superare l’embargo che ancora subisce il popolo cubano. Ci sono dei passi in avanti da fare, l’auspicio è che da una parte la caduta dei muri aiuti a migliorare la situazione economica di un popolo impoverito come quello cubano e dall’altra favorisca lo sviluppo di una società più plurale e meno ingessata dal regime.

D. - Dopo Cuba, Papa Francesco si recherà negli Stati Uniti. Il riavvicinamento tra questi due Paesi come potrà cambiare il panorama del continente americano?

R. - Oggi è un’occasione storica per gli Stati Uniti per rivedere seriamente le proprie responsabilità verso l’America Latina e per rilanciare una politica di cooperazione con i Paesi latinoamericani molto rispettosa dei suoi interlocutori. Un’altra intuizione profetica di Giovanni Paolo II può avverarsi: quella dell’esortazione apostolica “Ecclesia in America”: la Chiesa che è segno di comunione tra le chiese di tutto il continente e di solidarietà tra i popoli. D’altra parte, il fatto che gli ispanici siano una componente così importante nella società, nella popolazione nordamericana aiuta questo processo. Non si può dimenticare che fra pochissimi anni gli ispanici costituiranno la metà dei cattolici di tutti gli Stati Uniti. Questa rifondazione dei rapporti tra Stati Uniti e i Paesi latinoamericani fatta con questo rispetto, con questa autentica solidarietà, è un auspicio che dovrà passare attraverso tempi certamente lunghi e non semplici.








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