2015-09-14 19:30:00

Migranti: Ue cerca intesa su quote. Ripresi controlli ai confini


Nuovo passo dell’Unione europea per arginare l’emergenza migranti. Dalla riunione dei ministri dell'Interno in corso arriva l’adozione dello schema di ricollocamento per 40mila profughi da Italia e Grecia in due anni e la revisione delle regole dei centri di identificazione. Ma non mancano le perplessità: l’accordo definitivo sulle quote di redistribuzione, potrebbe infatti slittare ad ottobre. Intanto aumentano i Paesi che ripristinano i controlli alle frontiere: la situazione peggiore resta in Ungheria dove alla mezzanotte scattano le nuove misure restrittive del premier Orban. Il servizio di Gabriella Ceraso:

Dopo la Germania, l'Austria e la Slovacchia, anche l'Olanda annuncia il ripristino del controllo alle sue frontiere nelle prossime ore di fronte all'ondata di migranti e di profughi. E così anche la Francia si dice pronta a farlo lungo il confine italiano se si ripetera', avverte, "una situazione identica a quella di alcune settimane fa". Un effetto domino partito da Berlino che, a suo dire, vuole solo ordinare il flusso, non fermarlo. Bene proteggere i confini e decidere condizioni di ingresso, ma, “occorre fare di più”, tenendo presente la tutela dei diritti dei rifugiati, e del diritto internazionale umanitario. L’appello arriva dall’Onu mentre a Bruxelles i ministri dell’interno dell’Ue cercano l’intesa sulle quote e la ricollocazione di altri 120mila profughi. Prevista una certa flessibilità e di pari passo la creazione degli Hot spot, i centri per l’identificazione dei richiedenti asilo nei paesi di primo arrivo. Intanto di certo c’è l’ok formale all'uso della forza contro gli scafisti nel Mediterraneo entro i primi di ottobre e il via libera allo schema di redistribuzione di 40mila richiedenti asilo da Italia e Grecia: riguarda quelli arrivati o che arriveranno tra il 15 agosto 2015 ed il 16 settembre 2017. Al vaglio anche la questione dei meccanismi di rimpatrio che l’Italia vorrebbe unitari e a carico europeo.

L’Ungheria intanto si avvia all’inasprimento delle regole di ingresso dei migranti. La polizia ha chiuso in serata il principale accesso dalla Serbia in corrispondenza di Roeszke dove il centro di accoglienza è stato militarizzato. In 20mila hanno atteso sperando di passare prima della mezzanotte, quando scatteranno le nuove leggi che prevedono l’ arresto di chi fa ingresso nel paese illegalmente. Ma non tutti gli ungheresi seguono le direttive del governo. Come spiega al microfono di Antonella Palermo, mons. Csaba Torok, coordinatore per la Conferenza episcopale ungherese dei programmi cattolici sulla televisione pubblica:

R. - Abito vicino Budapest e ho visto la situazione nelle stazioni ferroviarie. ci sono amici, parroci, di Budapest che sono andati lì per aiutare, e che hanno visto che ci sono molte persone che fanno volontariato. Questo è un segno molto importante. Un altro esempio viene dall’Università cattolica di Budapest che ha un dipartimento per l’orientalistica, con studenti che parlano arabo e diverse lingue orientali. Il rettore dell’Università ha chiesto a tutto l’ateneo, in modo particolare a questi studenti e professori, di aiutare il lavoro alle stazioni ferroviarie della città, non solo con il lavoro di traduttori, ma fornendo informazioni, cercando aiuto per i profughi. Dall’altra parte, si deve dire che ci sono molti movimenti laici indipendenti dalla Chiesa o dallo Stato, autorganizzati, che sono arrivati da settimane nelle stazioni ferroviarie di Budapest. C’è un volto che lavora nel silenzio. Penso che i messaggi del Papa ci aiutano a portare alla luce tutte queste iniziative che fino ad ora erano nascoste. Non posso dimenticare, allo stesso tempo, che ci sono delle persone in Ungheria che hanno paura. E proprio questa paura rende le cose un po’ difficili.

D. - Di cosa hanno paura?

R. - C’è una paura che ha radici storiche, perché l’Ungheria ha vissuto per 150 anni sotto il dominio turco. Naturalmente questo è un periodo non molto felice per la storia del nostro Paese. Qui in Ungheria ci sono molte persone che vogliono tornare ai vecchi tempi, quando il Paese contrastava con tutte le forze l’islam che arrivò insieme all’Impero Ottomano. Ma ora, secondo me, la crisi economica è la questione più importante, che ha portato frutti negativi. Adesso c’è questa paura, molto umana, secondo la quale questa nuova situazione potrebbe far aggravare la crisi economica. Penso che non siamo ancora arrivati al punto che queste paure siano oggettivamente fondate, perché il numero dei profughi, il fatto che loro passano attraverso l’Ungheria, non significa che ci sia un pericolo oggettivo. Se la Chiesa, con il messaggio evangelico, può aiutare ad alleviare queste paure psicologiche nella popolazione ungherese, allora questo potrebbe essere un servizio molto importante nell’ambito della ricerca di una soluzione a questa situazione.

D. - Quindi lei dice che il timore ha principalmente a che fare con la situazione economica, oppure c’è anche una paura legata alla contaminazione tra culture e religioni diverse?

R. - Vivendo in Europa centrale si deve ammettere che gli ultimi duecento anni questa regione europea sono stati segnati da guerre tra nazioni, lingue, culture e religioni. La gente che vive in questo angolo d’Europa per questo motivo non è tanto aperta per esempio come le società occidentali.

D. - Ma i musulmani vengono considerati un pericolo?

R. - Direi che la maggior parte degli ungheresi non ha delle esperienze concrete, dirette, con i musulmani. Il 99% della popolazione ungherese pensa solamente secondo stereotipi riguardo l’islam. Se non conosciamo qualcuno o qualcosa, proviamo sempre una forte paura. La Chiesa naturalmente deve aiutare. L’Italia conosce bene l’immigrazione, per l’Ungheria questa è una cosa nuova. La Chiesa ungherese ancora non ha trovato una sua voce chiara e forte, ma spero che la troveremo. La cosa difficile sarà fare un cambiamento nella mentalità, dobbiamo ritrovare un certo senso di cattolicità, che in un certo senso è universalità e apertura verso l’umanità. Questo ci manca, perché la nostra storia, la nostra identità, qui in Europa centrale, è sempre racchiusa per motivi storici. Noi siamo i popoli dai confini fortissimi, popoli che cercano di mantenerli fissi e saldi.








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