“Non uccidere”. Con questo richiamo al quinto comandamento i vescovi del Burundi invitano i burundesi a lavorare per la pace nel Paese che sta vivendo la peggiore crisi dalla fine della guerra civile nel 2003, dopo che il Presidente Pierre Nkurunziza è stato rieletto per un terzo mandato in violazione della Costituzione.
Nel Paese si è creata una divisione nella popolazione
I vescovi si sono espressi sulla situazione del Paese in un comunicato pubblicato
al termine della loro Assemblea plenaria all’inizio di settembre. I presuli sottolineano
come si sia creata una divisione nella popolazione tra coloro che si sentono al sicuro
e quelli invece che temono per la propria vita al punto che in diversi sono stati
costretti a fuggire anche all’estero.
La povertà minaccia la popolazione
I vescovi condanno gli atti criminali che si registrano quotidianamente in particolare
nella capitale Bujumbura, dove ogni notte si verificano omicidi, e dove diverse persone
non dormono nel proprio domicilio per paura di essere rapite o uccise. In alcuni quartieri,
denuncia il comunicato, gli abitanti sono consegnati in residenza sorvegliata e, non
potendo uscire di casa per andare a lavorare o procurarsi da mangiare, rischiano di
morire di fame. “La povertà minaccia la popolazione - scrivono i vescovi - e questa
accresce il dramma che stiamo vivendo, dal momento che alcuni membri della comunità
internazionale sembrano aver sospeso i loro aiuti al Burundi”.
I presuli chiedono la ripresa del dialogo politico
I vescovi deplorano inoltre il linguaggio utilizzato nel confronto politico sia da
parte del governo che dall’opposizione, giudicandolo “minaccioso e teso a denigrare
gli altri. Un linguaggio a carattere terroristico volto a provocare il confronto come
se fossimo in guerra”. Un linguaggio che serve a risvegliare lo spirito di divisione
di un Paese che con gli accordi di pace voleva cambiare pagina e intraprendere la
via della riconciliazione nazionale. Dopo aver invitato i fedeli alla preghiera per
la pace nel Paese, i vescovi rivolgono un pressante appello ai protagonisti della
crisi politica perché si siedano attorno ad un tavolo per “prendere i provvedimenti
che permettano al Burundi di ritornare ad essere un Paese vivibile dove ciascuno si
senta libero nel rispetto reciproco”. (L.M.)
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