2015-09-10 14:06:00

Siria: Mosca ammette supporto militare ma contro l'Is


La Russia ha in parte ammesso il suo impegno in favore delle forze armate di Damasco, dopo le preoccupazioni espresse dagli Usa per le notizie di attività militari russe in Siria. E contro lo sforzo di Mosca si sono espresse anche la Nato e i principali Paesi europei; mentre l’Ucraina ha chiuso il proprio spazio aereo ai velivoli russi diretti nelle basi siriane. Il servizio di Marco Guerra:

 

“Non abbiamo rafforzato la nostra presenza militare in Siria, siamo lì da molti anni e aiutiamo l'esercito ad imparare a utilizzare le nostre armi". A chiarire la misura dell’impegno militare di Mosca in favore del governo di Assad è lo stesso il ministro degli Esteri russo Lavrov. Fonti russe ricordano poi che “non c'e nessun embargo che vieta di fornire armi alla Siria” e il Cremlino spiega che “l'unica forza in grado di contrastare lo stato islamico è quella delle forze armate siriane". Intanto emergono nuove indiscrezioni. Il ministro della difesa di Israele Yaalon sostiene che Mosca ha stia preparando una base area vicino a Latakia, per dispiegare caccia ed elicotteri per raid contro l'Is e la stampa russa parla dell’invio di veicoli per il trasporto di truppe. La Nato esprime preoccupazione per queste notizie, mentre l'Alto rappresentante della politica estera dell’Ue, Federica Mogherini,  ha incontrato l’inviato dell’Onu per la Siria, Staffan De Mistura, per discutere dei prossimi passi per porre fine al conflitto. 

 Per una lettura della tensione crescente tra occidente e Russia in Siria, Lucas Duran ha sentito Fulvio Scaglione vicedirettore di Famiglia Cristiana ed esperto di politica estera:

R. – Una cosa è certa, che negli ultimi tempi c’è un grande attivismo in Siria, dopo anni di guerra, dopo quasi 300 mila morti e dopo che il cosiddetto Stato Islamico di fatto si è impadronito di un territorio ormai grande quanto l’Italia. Questo attivismo proprio perché così improvviso e generalizzato è, ovviamente, sospetto. Ognuno, secondo me, gioca i suoi interessi. Personalmente ho la sensazione che tutti si preparino al dopo Assad e che tutti cerchino di mettere un piede nella porta per poi sedersi al tavolo delle trattative con qualcosa da dire o da pretendere.

D. – Dal tuo punto di vista, non ci potrà essere una Siria futura con Bashar Al Assad alla sua testa…

R. – Io credo proprio di no. Perché al di là delle questioni diplomatiche è evidente che uno dei protagonisti di una guerra civile così feroce non può pensare poi di essere anche il futuro del Paese; se non fosse altro, politica a parte per la montagna enorme di lutti e rancori che ha lasciato dietro di sé. In realtà, però è che nessuno capisce bene quali dovrebbero essere gli interlocutori di domani, certamente non Al Baghdadi e quelli dello Stato islamico; certamente, non quelle figure di carta pesta che in occidente vengono ancora presentate come Esercito libero siriano e che sul terreno concretamente contano come il due di picche. Tra l’altro va tenuta presente una cosa. Nessuno pensava, soprattutto con quello che è successo, nei primissimi tempi di questa ferocissima guerra civile, che alle spalle di Assad ci fosse comunque un consenso anche popolare così forte. Evidentemente in Siria c’è molta gente che preferisce Assad, sicuramente, allo Stato Islamico e alle altre formazioni islamiste.

D. – In maniera indiretta si arriva anche alla situazione della popolazione civile, attraverso la tua considerazione. La situazione che vive la popolazione è che certamente viene da un periodo in cui questo conflitto non c’era e in cui si viveva in maniera forse più tranquilla, anche rispetto alle differenti comunità nelle stesse città…

R. – Due sono secondo me i problemi principali a questo proposito. Uno è  più generale ed è ora di ammettere che tutti gli interventi occidentali in Medio Oriente negli ultimi decenni hanno provocato solo ed esclusivamente danni, hanno aggravato qualunque situazione in cui questi interventi si siano svolti. L’altra considerazione, dentro questa prima, è che non c’è stato assolutamente mai una minima considerazione per il destino e la sorte dei cristiani. Ma il destino e la sorte dei cristiani in Medio Oriente sono rivelatori della situazione generale, sono la cartina al tornasole: se i cristiani stanno male, sono perseguitati, sono discriminati, le cose vanno male per tutti. Infatti, pur essendo minoritarie, le comunità cristiane in Medio Oriente hanno una funzione determinante, decisiva, fondamentale, di collante dell’intero tessuto sociale. E questo è un fattore che per ignoranza, per impreparazione, per arroganza politica, non è mai stato tenuto in debita considerazione.

D. – La scelta di Putin di fare un atto di forza in qualche modo, anche attraverso le sue dichiarazioni, cela anche una visione strategica di riposizionamento rispetto anche all’occidente?

R. – Non di riposizionamento in questo momento perlomeno, perché da molto tempo la Russia si è in qualche modo legata alla Mezzaluna fertile, che è la parte sciita del Medio Oriente, come contraltare all’alleanza strategica che da lungo tempo lega in modo esclusivo gli Stati Uniti alle monarchie e in generale ai Paesi musulmani e sunniti. E’ una politica di lungo termine che anche Putin ha rafforzato e che adesso ovviamente ha anche la funzione di un contrappeso in funzione antiamericana nel Medio Oriente.








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