C'è stato un “ampio sostegno trasversale per una politica migratoria comunitaria”, riscosso dal discorso del presidente della Commissione Ue Jean Claude Juncker. Così Martin Schulz, presidente del Parlamento europeo che da tempo invoca misure per fronteggiare l'emergenza immigrazione, ma anche strategie a lungo termine per intervenire nella crisi in Libia e nel dramma in Siria. Lo spiega lo stesso presidente Schulz nell'intervista della nostra inviata a Strasburgo, Fausta Speranza:
R. – Il will cost money to bring the two sides in Libya together; we are well advised
to invest …
Costerà denaro, riunificare le due parti in Libia;
ma saranno denari investiti bene, perché la Libia è una delle fonti maggiori dei problemi.
C’è questa assoluta assenza di strutture statali coerenti e affidabili, ed è uno dei
maggiori problemi; in secondo luogo, in Siria invece abbiamo bisogno di tutte le parti:
abbiamo bisogno delle opposizioni, abbiamo bisogno del regime di Assad, abbiamo bisogno
della Federazione Russa, abbiamo bisogno degli americani, dei turchi, dei vicini
diretti della Siria per impostare un dialogo, perché tutti sappiamo che non sarà possibile
una soluzione militare. Ma convincere tutte le parti in causa che non c’è soluzione
militare, che abbiamo bisogno di una soluzione politica non è cosa facile: suona facile,
ma – come si sa – è estremamente difficile. Ciò nonostante, il Parlamento insiste
sul fatto che sia fatto ogni sforzo diplomatico e che ogni via diplomatica sia presa
in considerazione e sia tentata. Io so che questo è molto difficile … Con Assad, la
Siria non ha futuro ma dovremmo anche avere ben chiaro il fatto che – dopo l’era Assad
– le minoranze dovranno essere protette, nel Paese, e che noi dobbiamo garantire che
non ci sarà – dopo – la grande vendetta del dopo-Assad. Dobbiamo però anche essere
molto onesti nei nostri stessi riguardi: il sedicente Stato Islamico è forte, in Siria,
e forse avremo bisogno di un’ampia coalizione internazionale contro di esso. Io spero
che, ad esempio, un intervento iraniano o russo nella lotta all’Is avvenga nell’ambito
di una coalizione internazionale e non nell’ambito di una contrapposizione internazionale
tra americani ed europei da un lato e russi e iraniani dall’altro.
D. – Cosa risponderebbe a quei Paesi dell’Europa dell’Est che si oppongono alla ricollocazione dei rifugiati
R. – That they should discuss with us first of
all about our common humanitarian responsibility. …
Che dovrebbero prima di tutto ragionare con noi della
nostra comune responsabilità umanitaria. La sfida che ci troviamo ad affrontare in
questo momento non è una sfida nazionale: questo non è un problema italiano e nemmeno
– come ha detto Urban – un problema tedesco o spagnolo. Questo è un problema europeo,
e a sfide globali non si possono dare risposte nazionali: servono risposte europee.
In secondo luogo, la solidarietà è alla base di ogni azione dell’Unione Europea. Paesi
che – ad esempio – temono una minaccia militare dalla Russia e quindi chiedono sostegno
militare in armi e uomini, ne ricevono; Paesi che hanno bisogno di denaro per il loro
sviluppo infrastrutturale ed economico, ne ricevono. Questi stessi Paesi devono mettere
in conto che non dovrebbero e non potrebbero astenersi né tirarsi indietro quando
si parla di rifugiati.
D. – Ma come convincere questi Paesi?
R. – With pragmatic proposals. I had last week
prime minister Urban, who came to me and I said …
Con proposte pragmatiche. La settimana scorsa ho ricevuto
il primo ministro Urban e gli ho detto: “Guarda, noi distribuiamo le persone che vengono
in Europa – diciamo, 500.000 persone. Le distribuiamo su 507 milioni di abitanti nei
28 Paesi membri: questo è il numero degli abitanti dell’Unione Europea. Non è un problema
in sé. Ma se concentriamo centinaia di migliaia di persone solo su alcuni degli Stati
membri, allora ci saranno problemi. Per questo, dovremo sviluppare parametri e criteri
su come distribuire i profughi e uno dei criteri è il numero degli abitanti in relazione
alla capacità economica del Paese, tenendo in conto il numero dei rifugiati già presenti
nel Paese. E per tornare all’Ungheria, se consideriamo appunto questi tre elementi
– numero degli abitanti del Paese, capacità economica e numero dei rifugiati già presenti
nel Paese – l’Ungheria ne ricaverebbe un grandissimo vantaggio, rispetto al numero
delle persone già presenti nel Paese. Per questo io faccio affidamento a proposte
pragmatiche e spero che riusciremo a convincere i Paesi ancora riluttanti. E’ ovvio
che Paesi grandi, con un grande numero di abitanti e un forte potere economico, come
la Germania, possono sopportare un peso maggiore, più persone, quindi, rispetto a
Paesi più piccoli con un minor numero di abitanti e con problemi economici.
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