Dall’Unione Europea, che oggi ha varato un piano unitario per l‘accoglienza dei profughi, si alzano anche venti di guerra nei confronti dell’Is in Siria, responsabile in parte dell’ondata migratoria. Francia e Gran Bretagna, appoggiate dall’Australia, sono pronte a raid mirati, ma sul terreno a confrontarsi sono Washington e Mosca, dopo che la Russia ha rafforzato le sue posizioni militari in difesa del regime di al-Assad. Intanto i jihadisti hanno occupato l'ultima base aerea dei lealisti nella provincia nord-occidentale di Idlib, uccidendo decine di militari. Si aggravano dunque i rischi per la popolazione, già perseguitata e in fuga, specie nelle comunità cristiane. Gabriella Ceraso ne ha parlato con mons. Antoine Audo, vescovo di Aleppo dei Caldei e presidente di Caritas Siria:
R. – Come Chiesa, come cristiani, fino ad oggi abbiamo sperato nella pace e continuiamo a farlo: è questa la nostra speranza per la Siria, che è il nostro Paese, la nostra casa, il luogo dove sono le nostre famiglie e dove c’è il nostro avvenire. Allo stesso tempo, però, in Siria la guerra e le distruzioni continuano: usano ogni metodo possibile per compiere queste distruzioni, come è accaduto già anche in Iraq, in Libia… E se continuano le violenze, le persone fuggono. E in particolare, per quello che ci riguarda, vediamo le partenze numerose dei cristiani, o, una dopo l’altra, delle famiglie e soprattutto dei giovani. Questi hanno paura del servizio militare, non hanno un lavoro, e vivono in una condizione di pericolo: per questo fanno di tutto per andare via.
D. – Quindi, lei dice che un’assenza di una strategia e di una soluzione politica, se si pensa solo ad un intervento militare, potrebbe aggravare ancora di più questa fuga, in particolare dei giovani?
R. – Sì, penso proprio di sì, ci troviamo in una situazione di distruzione totale! In più non abbiamo né acqua né elettricità; da tre giorni ci troviamo di fronte ad una tempesta di sabbia terribile che sta colpendo tutta la Siria… E sono i poveri che pagano il prezzo.
D. – Ieri c’è stata a Parigi una conferenza in cui, per la prima volta, si è parlato di un impegno maggiore da parte dei Paesi, soprattutto di un aumento degli aiuti umanitari da destinare alla Giordania; la Turchia; il Libano e l’Iraq affinché questi possano accogliere. Si è anche ribadita la necessità di lottare perché si possano denunciare alla Corte Penale Internazionale i crimini più gravi che sono accaduti anche in Siria. Si è pensato in particolare ai cristiani d’Oriente. Aiuti in questo senso vi sarebbero di sostegno, vi occorrerebbero?
R. – Per me non è questa la soluzione: bisogna cercare una soluzione politica, che venga dall’interno della Siria, e non imposta dall’esterno.
D. – Qual è la situazione umanitaria in questo momento a livello Caritas? Quali sono le urgenze maggiori?
R. – Adesso lavoriamo su due livelli. Il primo riguarda le necessità di accesso al cibo, alle medicine e all’istruzione. Abbiamo fatto uno sforzo importante per aiutare i bambini e i giovani ad andare a scuola; gli anziani; e i profughi che devono pagare gli affitti delle case. Questi sono i grandi programmi della Caritas Siria. Ma le urgenze adesso sono i problemi psicosociali, dobbiamo aiutare e sostenere la gente che è stanca; fare dei programmi per i giovani. Speriamo di riuscire a portarli a termine..... ma con la guerra che continua, è veramente difficile.
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