2015-09-01 16:10:00

Sant'Egidio a Tirana per dire che "la pace è sempre possibile"


Sviluppo, ambiente, diseguaglianze sociali, ma soprattutto il dramma delle guerre e delle loro vittime, come i migranti, che arrivano sulle coste europee per sfuggire alla violenza. Sarà tutto questo al centro dell’annuale Incontro internazionale delle religioni per la pace, promosso dalla Comunità di Sant’Egidio, che quest’anno si svolge a Tirana, in Albania, dal 6 all’8 settembre e che è stato presentato oggi a Roma. Il servizio di Francesca Sabatinelli:

"La pace è sempre possibile": il titolo dell’appuntamento di quest’anno è stato scelto perché nato dalla convinzione di “dover contrastare con forza il pessimismo che circonda i tanti conflitti in corso”, così come “dalla consapevolezza che l’attuale grande migrazione dal Sud del mondo e dai Paesi in guerra verso l’Europa, non può essere fermata senza un importante investimento sulla pace”. Lo ha spiegato il presidente della Comunità di Sant’Egidio, Marco Impagliazzo, nell’illustrare l’Incontro che vedrà riunite a Tirana oltre 400 persone tra leader religiosi, esponenti della cultura e delle istituzioni di tutto il mondo, pronti a dialogare sui principali temi di oggi: dalle guerre in corso in numerosi Paesi, alla strumentalizzazione delle religioni per fini violenti e di terrore, dall’impegno per la salvaguardia dell’ambiente, alla violenza giovanile. Nell’assemblea inaugurale, verrà anche letto un messaggio di Papa Francesco, che lo scorso anno scelse proprio Tirana come primo viaggio europeo del suo Pontificato. Sarà dunque la speranza che si possa e si debba sempre credere nella pace il filo conduttore degli incontri albanesi. Marco Impagliazzo:

R. – Noi lanciamo questo appello alla comunità internazionale, ma vogliamo prenderci delle responsabilità. La prima, grande, responsabilità ci viene dallo spirito di Assisi, l’eredità che Santo Giovanni Paolo II ci ha lasciato e che Sant’Egidio non ha mai lasciato cadere in questi 30 anni. Oggi, lo spirito di Assisi si confronta con nuovi problemi: se prima si confrontava con quelli dettati dalla Guerra Fredda, quando nacque, nel 1986, oggi si confronta sui migranti a causa delle guerre, oppure sul tema del terrorismo religioso, della violenza cosiddetta “su base religiosa”. E allora noi vogliamo prenderci assieme a tanti leader religiosi, ma anche a personalità del mondo politico e della società civile, la responsabilità di proporre delle soluzioni e di parlare al mondo di questo. C’è una domanda anche all’interno delle religioni: dove abbiamo fallito? Dove non abbiamo convinto la nostra gente? Perché esistono i "foreign fighters"’? Perché c’è gente che ancora crede che una delle espressioni dell’islam sia la violenza? Questo è un punto di domanda che noi ci faremo anche insieme ai nostri interlocutori musulmani.

D. – E in un Paese come l’Albania, riuscito a superare le recenti ferite della dittatura e dell’ateismo di Stato...

R. – Io credo che l’Albania, e Tirana, siano veramente dei luoghi molto evocativi. Tante sofferenze di questo mondo vanno capite anche alla luce di una storia. Se oggi abbiamo i migranti dalla Siria perché c’è la guerra, negli anni ’90 avevamo i migranti dall’Albania perché usciva da anni ed anni di un regime comunista terribile, durissimo, che aveva chiuso il cielo, aveva dichiarato l’ateismo di Stato, che ha perseguitato in maniera violentissima tutti coloro che professavano una fede, sia cristiani che musulmani. Allora, l’Albania è veramente un Paese evocativo di un popolo che ha sofferto tanto e che ha cercato negli ultimi anni di uscire e di riuscire. Quella che noi consideravamo un’invasione all’epoca, oggi neanche ce la ricordiamo più, perché questi migranti albanesi si sono inseriti, hanno lavorato da noi, stanno tornando in Albania per far crescere il benessere del loro Paese. È un modello che può essere indicato anche per chi oggi ha paura dei nuovi migranti.

D. – Il 14 settembre, vertice straordinario dell’Unione Europea sull’immigrazione. Al centro l’esigenza, la necessità di superare il Trattato di Dublino. Cosa ritiene sia necessario la Comunità di Sant’Egidio?

R. – La Comunità di Sant’Egidio da vari mesi sostiene che Dublino vada trasformato, cambiato. In più, sosteniamo che l’Europa può attingere alle sue normative, tra cui l’Art. 78, dove si parla della possibilità di allargare il concetto di protezione temporanea non solo delle persone ma anche dei gruppi. Oggi perché non allargare il concetto di protezione temporanea ai rifugiati per i siriani, un popolo che chiaramente sta fuggendo dalla guerra, non hanno nulla da nascondere... In più, c’è la proposta italiana sul diritto d’asilo europeo, sostenuta dalla cancelliera Merkel. Insomma, ci sono in campo varie possibilità, ma io direi che bisogna sbrigarsi. Il problema è che c’è poco tempo, la sofferenza è tanto grande. Noi chiediamo anche che vengano aperti degli uffici, dei desk, nei Paesi di transito dove si possano ricevere queste domande. Questa è una grande proposta che abbiamo lanciato ormai da tempo insieme alla Federazione delle Chiese evangeliche italiane, stiamo aspettando la risposta del Ministero dell’interno. Abbiamo già ricevuto la risposta favorevole di quello degli Esteri, chiediamo soltanto che si faccia presto.

D. – Di fronte a tutto questo, restano però le chiusure dei Paesi dell’Europa dell’Est…

R. – Questo è fuori dubbio e questo ci fa riflettere molto su cosa significhi il fatto che uno dei principi fondamentali dell’Europa sia quello di solidarietà. Credo vi sia  da convincere di più i popoli europei, le varie nazioni, che queste persone oggi in fuga hanno bisogno, sono sofferenti. Il camion trovato in Austria ha scosso le nostre coscienze, ma dalle reazioni di alcuni governi non mi sembra poi così tanto. Dobbiamo soltanto continuare a dimostrare, a spiegare, in molte maniere che si è migranti perché si scappa da situazioni difficili, troppo difficili, e chiedere ai popoli europei di immedesimarsi almeno un po’ in queste sofferenze.








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