2015-08-26 15:03:00

Ungheria, stretta sui migranti. Cri: barriere fomentano crimini


Sono oltre duemila gli uomini inviati da Budapest per pattugliare il confine ungherese: è un nuovo corpo speciale di frontiera, creato dal premier Viktor Orban, con l’obiettivo di bloccare il flusso di migranti. L’Ungheria sta valutando se inviare al confine meridionale l’esercito, intanto però la sua polizia avrebbe sparato gas lacrimogeni in un centro di accoglienza, alla frontiera con la Serbia, per impedire ai migranti di parlare con i giornalisti. Continua anche il flusso in Serbia di chi, proveniente da Grecia e Macedonia, cerca di entrare in Ungheria per poi passare nei Paesi del nord, mille i nuovi arrivi la notte scorsa. La Commissione Ue ha deciso di assegnare complessivamente un milione e mezzo di euro di aiuti a Serbia e Macedonia.

Nei primi sei mesi del 2015, sono passati in Serbia 37 mila migranti, il mese di luglio e la prima metà di quello di agosto hanno registrato una cifra pari a più del doppio, 83 mila. Solo negli ultimi fine settimana sono transitati dal confine con la Macedonia in novemila.  Il flusso è inarrestabile e in aumento, racconta Tommaso Della Longa, portavoce della Federazione internazionale di Croce Rossa in Serbia. Francesca Sabatinelli lo ha intervistato:

R. – Parliamo di persone che scappano dalla guerra, dalle persecuzioni, in maggioranza siriani, iracheni e afghani, e negli ultimi due mesi tantissime famiglie con bambini.

D. – In che condizioni sono queste persone quando voi le incontrate, soprattutto che viaggio hanno fatto, se ve lo raccontano?

R. – L’emblema della Croce Rossa, della Mezzaluna rossa, è un emblema che ispira prima di tutto fiducia. Quindi, ci cercano, vengono a parlare con noi, ci raccontano i loro viaggi. Io parlavo con un ragazzo ieri che veniva dalla provincia di Anbar in Iraq: in 15 giorni, grazie al fatto che era da solo e aveva delle risorse finanziarie, era arrivato in Serbia. Ma ci sono viaggi molto più lunghi. Ancora ieri parlavo con degli afghani che ci hanno messo due mesi ad arrivare in Serbia. Dipende dalle risorse economiche, dalle condizioni del mare, quando passano tra la Turchia e la Grecia, e dipende anche dalle varie complicazioni che trovano sulla loro strada. Sono viaggi molto pericolosi, che costano tanto, che mettono a serio rischio soprattutto i più vulnerabili. Ovviamente, quando arrivano qui in Serbia sono molto stanchi, ma con una grande voglia di proseguire il viaggio verso il centro-nord Europa.

D. – Il loro obiettivo, i Paesi di arrivo, nel loro immaginario quali sono?

R. – Nell’immaginario collettivo dei migranti sicuramente si parla di Germania, di Svezia, in alcuni casi di Inghilterra e di Francia. I siriani, che sono la grande maggioranza, rispondono praticamente tutti quanti che in realtà il loro sogno sarebbe tornare a casa, nella propria terra. E la richiesta è proprio quella di raccontare al mondo che c’è bisogno di un intervento della comunità internazionale in Siria e quindi di porre termine alla motivazione principale per cui loro stanno partendo.

D. – Si può raccontare chi sono queste persone?

R. – Sono persone come noi, che possono avere qualunque tipo di età, posizione sociale, lavoro… Parlavo con alcuni ragazzi siriani scappati dalla zona di Palmira: ingegneri, ingegneri elettronici, ingegneri edili, persone con famiglie, interi nuclei familiari che si muovono. Sono persone che non hanno più una casa, non hanno più un futuro, e l’unico futuro che loro vedono, l’unico sogno che loro hanno, è stare in un posto dove non ci siano le bombe, dove non ci siano persecuzioni, dove la loro famiglia possa crescere sicura. Ho incontrato una persona che si occupava di comunicazione e giornalismo in Siria e che, adesso che nella sua area si è spostato parte del conflitto e dei bombardamenti, ha deciso di scappare da casa propria.

D. – Si è registrata la brutta, triste e drammatica morte di un ragazzino di neanche 15 anni per le percosse e i maltrattamenti subiti in Libia. Chi arriva lì in Serbia in che condizioni fisiche è?

R. – In questo momento, fortunatamente, le persone che arrivano lungo la rotta dei Balcani possono essere stanche, provate dal viaggio, ma mediamente in buone condizioni fisiche. Questo è legato ovviamente all’estate, alla buona condizione del mare e al percorso che fanno attraverso la Macedonia, la Serbia e il centro-nord Europa. La grande preoccupazione è quello che succederà in autunno e in inverno. Come sappiamo la rotta dei Balcani passa per nazioni che hanno avuto in autunno fortissime piogge e alluvioni e in inverno temperature molto basse. Su questo, come Croce Rossa, noi richiamiamo la comunità internazionale e tutti i partner a sforzarsi sempre di più nell’aiuto ai migranti perché questa non è una situazione che finirà, ma che andrà avanti perché le guerre purtroppo stanno andando avanti, e quindi purtroppo ci sarà sempre più bisogno di aiuto per le persone che scappano dalla guerra.

D. – Non è cosa di oggi, ormai è cosa di mesi, la tensione che si registra in quelle aree proprio a causa degli incessanti flussi di migranti. A voi arrivano notizie?

R. – Ovviamente, le comunità ospitanti vivono una situazione complicata. La mia esperienza personale, qui in Serbia, è che la popolazione locale fino ad oggi ha espresso un grande profilo di solidarietà. Ho visto persone che si avvicinavano ai migranti appena entrati in Serbia per portare magari una bottiglietta d’acqua o un cambio di magliette per i bambini o pannolini per i più piccoli. Anche perché loro hanno vissuto in prima persona cosa significa scappare da una guerra e cosa significa essere un rifugiato.

D. – La Federazione internazionale della Croce Rossa che tipo di preoccupazione ha?

R. – Prima di tutto, quello che noi diciamo ogni volta è che proteggere le persone migranti è una responsabilità collettiva. Sono persone che portano dei diritti: chi scappa da guerre e persecuzioni ha diritto a essere protetto, ha diritto ad avere un posto sicuro dove stare, persona singola o con la propria famiglia. Le nostre preoccupazioni ovviamente sono sia dal punto di vista di autunno e inverno che stanno arrivando, sia per alcuni segnali di chiusura di molti Stati nei confronti di flussi migratori. Anche perché quando si mettono barriere ai flussi migratori, non si fermano i flussi migratori, ma si mette solamente a rischio la vita delle persone e si alimenta ancora di più il mercato criminale dei trafficanti di uomini e questa è una grande preoccupazione che noi abbiamo.








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