2015-08-26 20:30:00

4 esecuzioni capitali in Arabia Saudita. Condanne sospese in Mississipi


Le autorità saudite hanno eseguito la condanna a morte di quattro persone, tre colpevoli di omicidio e una quarta condannata per traffico di droga. Dall’inizio dell’anno nel Paese è già stato superato il numero di esecuzioni totale dello scorso anno. Intanto negli Stati Uniti un giudice ha sospeso le condanne a morte nel Mississipi in quanto l’anestetico utilizzato non garantisce “una morte senza sofferenza”. Sentiamo la riflessione di Sergio D’Elia, presidente dell’Associazione Nessuno tocchi Caino al microfono di Paolo Ondarza:

R. – In Arabia Saudita è accaduto qualcosa che non si verificava da almeno 10 anni, e cioè un’escalation di esecuzioni che si sono verificate soprattutto con il nuovo re, a partire da gennaio. Secondo noi, le esecuzioni sono almeno 127 nei primi sei mesi e fino a oggi, il che ha superato il numero totale di tutto il 2014. Io credo che, a parte il cambio del re, questa accelerazione sia stata resa possibile da qualche riforma che è avvenuta: è stato aumentato il numero dei giudici, perché c’era un arretrato di ricorsi contro la pena di morte che viene smaltito con questo ritmo davvero mortifero.

D. – Vale la pena ricordare che dei quattro giustiziati, tre erano stati riconosciuti colpevoli di omicidio, mentre il quarto era stato condannato per traffico di droga …

R. – Sì, il traffico di droga,  all’insegna di quella che è diventata, a livello mondiale, una sorta di guerra alla droga e che riguarda non soltanto l’Arabia Saudita, dove la metà delle esecuzioni sono per reati di droga e in linea di massima riguardano cittadini stranieri; ma se pensiamo all’Iran, siamo nei primi otto mesi di quest’anno, al 75% di esecuzioni che avvengono proprio per reati legati alla droga. Quindi, la guerra al terrorismo da un lato, in particolare con le esecuzioni aumentate anche in Pakistan, e la guerra alla droga sono stati i due motivi principali per i quali noi abbiamo registrato, nei primi mesi di quest’anno, un incremento di esecuzioni.

D. – Intanto, negli Stati Uniti un giudice federale ha temporaneamente bloccato lo Stato del Mississippi dall’eseguire condanne alla pena capitale in seguito a una causa intentata da tre detenuti e basata sull’utilizzo di un mix di medicinali che – sostengono – non garantisce una morte senza sofferenza, come dovrebbe. Come accogliete, come commentate questa notizia?

R. – Bè, è assolutamente positiva; il problema è che si discute, negli Stati Uniti, di un qualcosa che a parer mio non coglie l’essenza della questione. Il problema non è il metodo più o meno indolore, più o meno dolce, più o meno “civile” di mandare una persona all’altro mondo, ma messo in discussione è l’anacronismo proprio della pena di morte che fa veramente dispiacere sia ancora praticata in quella che è considerata la più antica e solida democrazia del mondo.

D. – Vogliamo giusto ricordare in quali Paesi è più diffusa la pena di morte, questa piaga contro cui più volte ha parlato anche Papa Francesco?

R. – Se nel 2014 i primi tre Paesi esecuzionisti, o boia che si voglia dire, nel mondo erano stati la Cina, l’Iran e l’Iraq, già nei primi otto mesi di quest’anno sono cambiati: pur rimanendo Cina e Iran sempre ai primi due posti, entra il Pakistan. Va messa in discussione la pena di morte: certo, Papa Francesco da questo punto di vista ha pronunciato parole sulla scia delle posizioni della Chiesa cattolica e dei Pontefici degli ultimi anni, a partire soprattutto da Giovanni Paolo II. Ma le parole che noi abbiamo apprezzato, del Papa, è che lui non solo ha parlato della pena di morte, ma ha censurato e messo sotto accusa anche la “pena fino alla morte”, e cioè l’ergastolo che ancora vige in Italia, avendolo invece la Città del Vaticano abolita proprio all’inizio del pontificato di Papa Francesco che ha detto che l’ergastolo è una pena di morte mascherata. Sono poste le questioni più importanti e più emergenti oltre la pena di morte, che riguardano quindi non soltanto i Paesi-boia ufficiali del mondo, ma anche i Paesi cosiddetti “democratici”, che la pena di morte l’hanno abolita, ma continuano a praticarla in forme occulte oppure di fatto nelle prigioni di “civilissimi” – o almeno considerati tali – Paesi democratici.

 








All the contents on this site are copyrighted ©.