2015-08-23 12:37:00

Campanini su "Islam e politica": Is offusca e tradisce l'Islam


La strategia del sedicente Stato islamico è un tradimento dell’Islam. Così Massimo Campanini, professore di Islamistica e Storia dei Paesi islamici all'Università di Trento, autore del libro, edito da Il Mulino, “Islam e politica”, giunto alla terza edizione ampiamente aggiornata. Il testo presenta l’articolata realtà dell’Islam partendo dai quattro califfi seguiti alla morte di Maometto, fino alla terribile strategia del terrore dell’Is. Massimiliano Menichetti ha intervistato lo stesso Massimo Campanini:

R. – Ci sono due realtà possibili dell’islam, contro questa sfida violenta, distruttrice dell’Is. C’è l’islam degli "establishment" religiosi, che in qualche modo ancora controllano la partecipazione e la coscienza religiosa della grande massa delle popolazioni musulmane arabe, e c’è quel gruppo di intellettuali a vari livelli che hanno costituito l’alternativa islamica di un islam rivoluzionario che, fatti i conti con la modernità, è in grado di avanzare una sua proposta di rinnovamento, anche politico, della concezione islamica. Che poi si identifica con la “teologia islamica della liberazione”. Nei confronti di queste due declinazioni dell’islam, il cosiddetto Stato islamico costituisce inevitabilmente un tradimento: nei confronti dell’“establishment”, perché evidentemente l’Is porta avanti un discorso di disgregazione della comunità musulmana, va contro le strategie e i principi fondanti di questo tipo di lettura che è molto tradizionale. Per quanto riguarda l’alternativa islamica modernista-progressista-teologica della liberazione, cui si accennava prima, è chiaro che il messaggio, la strategia di Daesh va nella direzione della violenza, della negazione della potenziale capacità islamica di essere colloquiante, di essere tollerante… Quindi, la proposta dell’alternativa islamica, e cioè usare l’islam come strumento di rivoluzione, come strumento di modificazione della realtà e di ristrutturazione dello status quo, con l’Is diventa semplicemente una post-modernità distruttiva che probabilmente lascerà sul terreno soltanto macerie.

D. – Nel testo mette in discussione il presupposto che l’islam sia insieme religione e Stato: in che senso?

R. – Un elemento di fraintendimento che esiste nella percezione, nella comprensione dell’islam sta nella questione della relazione tra religione e politica. Il fatto che l’islam abbia delle ricadute politiche è sicuramente vero, ma nella storia islamica c’è stata prevalentemente una strumentalizzazione del religioso da parte del politico e non viceversa, tranne il caso l’Iran khomeinista che è oggettivamente una particolarità.

D. – Lei sottolinea con forza che l’Is contrasta con l’usuale tolleranza che la civiltà islamica ha avuto nel suo massimo splendore…

R. – La questione dell’espansione dell’islam è evidentemente una questione che ha motivazioni molto diverse. Però, se uno tiene conto del fatto che nei Paesi arabi del Medio Oriente l’islam è diventato maggioritario solo tre-quattro secoli dopo Maometto, è evidente che non c’è stata un’imposizione della religione con la spada. Poi, l’islam ha avuto una tradizione di assorbimento delle culture precedenti, che gli ha consentito di diventare, nella sua epoca classica che termina attorno al XIII-XIV secolo, una civiltà estremamente aperta agli influssi esterni e tendenzialmente tollerante. E’ chiaro che ci sono stati anche dei momenti o dei tentativi di chiusura…

D. – E come si arriva alla fase involutiva di oggi?

R. – C’è una richiusura su se stessi dopo il periodo del modernismo che è accaduto grossomodo tra il 1870 e il 1940: i primi movimenti di lotta armata sono degli anni Settanta. Quando si sono innescati i processi della decolonizzazione e le ideologie di tipo laico-secolare che erano state assorbite nei Paesi musulmani – parlo essenzialmente, come sempre, dei Paesi mediorientali – sono fallite, c’è stato un cercare di riguardare all’indietro per riprogettare il futuro. Questo, poi, ha acquisito dei caratteri estremisti, violenti in seguito a una serie di fattori che hanno interagito con questo processo, deviandolo e in qualche modo peggiorandolo.

D. – Alla fine del libro, lei lancia una sfida: parla di un islam tutto da ridisegnare…

R. – L’islam deve ridisegnarsi imparando – secondo la mia prospettiva – a confrontarsi con quella che si chiama “modernità”: concetto molto difficile ma che, comunque, nella maggior parte dei pensatori islamici, significa l’Occidente. Ma la cosa veramente importante è che questo deve accadere senza perdere la propria fisionomia, senza perdere la propria identità, perché se si perde questo risalire al Corano, alla Sunna, alle fonti, inevitabilmente la personalità si disgrega e allora può diventare una bomba ancora più pericolosa, che spara in giro chiodi senza sapere quale obiettivo ha di fronte.








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