2015-08-22 12:37:00

Italia. Ceto medio e fisco. Zamagni: serva una riforma


Anche in Italia, la crisi di questi anni sta inasprendo quello che gli esperti chiamano “Effetto S. Matteo” ovvero, quando i ricchi diventano sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri. Tuttavia, tra queste due classi ne esiste una terza. E’ il ceto medio, sempre più eroso dalla crisi economica e da un fisco non equo. Nell’intervista di Emanuela Campanile, ce ne parla l’economista Stefano Zamagni:

R. – Nel caso italiano, la tassazione, la pressione tributaria, non è solo molto alta – perché ad esempio quella della Svezia e della Norvegia sono più alte di quella italiana – ma il guaio è che è iniqua: nel senso che è una pressione che grava di più su quelli che noi chiamiamo “il ceto medio” – perché è chiaro che i poveri non pagano le tasse – e ovviamente sull’élite, coloro i quali stanno molto bene ecc. Allora, è iniqua. Quindi, non è solo alta, tutti dicono così, ma è iniqua. Io sono per rifare un progetto tendente ad applicare alla tassazione quel principio di equità che tutti invocano a parole, ma non con i fatti.

D. – Esiste un’alternativa a questo sistema fiscale iniquo?

R. – A questo riguardo, mi piace sempre ricordare che c’è una proposta – quella che in inglese si chiama “negative income tax”, cioè una imposta sul reddito negativa – che venne avanzata negli anni Sessanta da Milton Friedman e da James Tobin, due Premi Nobel dell’Economia, uno di destra, l’altro di sinistra: uno repubblicano, l’altro democratico. Ed è una proposta che è l’unica in grado di funzionare, però nessuno è in grado di prenderla in considerazione. Quindi le proposte ci sono, ma la classe politica, per una ragione o per l’altra – questo riguarda non solo il nostro Paese – non le vuole mettere in pratica. D’altra parte, il fatto che due Premi Nobel di quella caratura, pur appartenenti a posizione ideologiche diverse, avessero avanzato una proposta del genere, ciò vuol dire che un qualche fondamento doveva esserci. Il punto è che l’assenza di equità, unitamente all’alta pressione tributaria, fa gridare allo scandalo soprattutto il ceto medio.

D. – A risentire dell’eccessiva pressione fiscale in Italia è dunque il ceto medio. Una realtà vessata in questo senso…

R. – Ormai le nostre società sono costituite da tre grosse sfere: la sfera degli incapienti, dei poveri, degli emarginati e degli esclusi – e di questa giustamente tutti parlano, giustamente, perché meritano l’attenzione primaria. Poi, c’è la sfera di coloro i quali sono i cosiddetti “garantiti” e sono quelli che hanno un lavoro sicuro, i ricchi ecc.; però in mezzo c’è una sfera, che è quella dei “vulnerabili”: quella del ceto medio. Oggi in Italia, come in altri Paesi europei, il problema più serio è quello del ceto medio. Tecnicamente “vulnerabile” è una persona che ha una probabilità superiore al 50% di cadere nella zona della povertà assoluta o relativa a seconda dei casi, in un arco di tempo che è di solito l’anno. Oggi, la riforma fiscale è soprattutto una riforma che deve riguardare questi vulnerabili, i quali potrebbero ottenere da una riforma fiscale equa una maggiore considerazione rispetto a quanta ne ricevano. 








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