2015-08-20 14:17:00

Papa: misericordia per i migranti. Vegliò: Europa non ha fatto molto


"Migranti e rifugiati ci interpellano. La risposta del Vangelo della misericordia": è questo il tema scelto da Papa Francesco per la 102.ma Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato del prossimo 17 gennaio. Da un lato il dramma di uomini e donne costretti ad abbandonare le loro terre tra l’indifferenza e il cinismo, dall’altro la risposta del mondo e, in particolare, della Chiesa nel contesto dell’Anno giubilare. Ad illustrare il tema, una nota del Pontificio Consiglio della Pastorale dei Migranti e degli Itineranti che richiama anche le Chiese locali ad un coinvolgimento diretto. Il servizio di Gabriella Ceraso:

“Non cadiamo nell’indifferenza che umilia, nell’abitudinarietà che anestetizza, nel cinismo che distrugge: apriamo i nostri occhi per guardare le miserie del mondo”. La citazione della Bolla con cui il Papa ha convocato l’Anno della misericordia spiega il tema della prossima Giornata mondiale dedicata a migranti e itineranti, almeno nella sua prima parte. ”Essi ci interpellano” dice il tema: sono cioè uomini e donne costretti a lasciare le loro terre feriti e provati nella dignità, il cui grido deve provocare. Ma a questo richiamo nel tema si collega, in modo esplicito, la risposta del mondo e in particolare della Chiesa. Il Papa invita durante il Giubileo a riflettere sulle opere di misericordia corporale e spirituale tra cui è l’accoglienza dei forestieri, quegli ultimi e più piccoli in cui è Cristo stesso. Alle Chiese locali in vista del 17 gennaio, anche data giubilare dedicata a migranti e rifugiati, la raccomandazione di programmare iniziative di coinvolgimento e sensibilizzazione sul tema e realizzare concreti segni di solidarietà che esprimano attenzione e vicinanza, approfittando anche dell’occasione dell’anno giubilare. Sul cinismo, la paura, ma anche l’urgente bisogno di dare risposta al problema delle migrazioni riflette - al microfono di Gabriella Ceraso - il presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale dei Migranti e degli Itineranti, il cardinale Antonio Maria Vegliò:

R. – Uno dei difetti dell’uomo è quello di abituarsi purtroppo a tutto, anche alle cose più tragiche, come quelle che stanno avvenendo nel problema dei migranti. E’ un rischio, ma noi non dobbiamo accettare questo rischio, dobbiamo ricordare, rinnovare sempre il nostro impegno. E’ una cosa che ci deve interpellare.

D. – L’indifferenza, spiega il tema della Giornata, nasconde spesso l’egoismo e il cinismo, potremmo aggiungere anche la paura, di fronte ad un fenomeno che comunque è in crescita, come quello delle migrazioni. E’ ragionevole avere paura e come può rispondere la Chiesa a questo?

R. – Io credo che sia normale avere paura. Non sono di quelli che pensano che vada bene tutto, che tutti possano venire. E’ un reale problema per ogni nazione e non solo per l’Italia. E’ anche normale, nella natura umana, perché ognuno di noi vive la sua vita, vive nel suo castello dorato, e quando arriva questa gente ci condiziona, ci toglie la libertà, ci fa pensare a tutte le difficoltà che possiamo avere per vivere insieme. Non si possono, però, costruire muri, non è questo quello che la Chiesa vuole, quello che ognuno di noi vorrebbe. Le conseguenze estreme non vanno mai bene.

D. – Ecco, infatti, la paura alimenta soluzioni estreme: i muri dell’Ungheria, i controlli di polizia – per esempio sta succedendo nel braccio di mare che separa l’Inghilterra dalla Francia, a Calais – oppure le richieste di rivedere i trattati internazionali, come Schengen – lo ha chiesto la Germania. Ecco, una sua valutazione di queste soluzioni. L’alternativa qual è? Come farla?

R. – Questo è il grande problema. Che poi per difendersi uno passi anche agli estremi opposti, tipo bloccare tutti, mandare via tutti, rompere trattati internazionali, per difendere la propria identità nazionale, non è ragionevole. E la Chiesa come deve rispondere? La Chiesa in fondo ci aiuta a non dimenticare che Gesù è presente tra i più piccoli, tra i più sofferenti, tra quelli che hanno più bisogno degli altri. La Chiesa, essendo discepola di Gesù, è chiamata a liberare, ad annunziare la liberazione di quanti sono prigionieri delle schiavitù della società moderna.

D. – La Chiesa parla di accoglienza, ma non accoglienza generica unidirezionale. La Chiesa sollecita anche impegni ad organismi internazionali?

R. – La Chiesa sollecita – lo fa - le istituzioni internazionali e sollecita se stessa, per vedere cosa si può fare. Alle volte, fino adesso, io però ho avuto l’impressione che si corresse quando c’era l’emergenza, senza avere un programma già preparato. Questo è un fenomeno che risale al tempo di Gheddafi. Ricordo che lui minacciava di “buttare” sull’Europa almeno due milioni di migranti, se non lo si fosse aiutato finanziariamente. Ma l’Europa non è che abbia fatto molto. Adesso il problema esiste, lo viviamo. Ecco, si deve avere una politica. Non si può dire “accogliamo tutti”, ma non si può nemmeno dire “mettiamoli tutti fuori”. Non è facile, ma bisogna che l’Europa studi come vincere le cause di questi fenomeni. Ora lei lo sa, m’insegna, quali sono le cause di questi fenomeni: nei Paesi poveri, la povertà; la causa dei profughi, invece, dei rifugiati, è la guerra. Ora, le guerre si fanno con le armi. Quando mai noi abbiamo pensato che sarebbe bene anche un controllo della vendita delle armi. Noi protestiamo quando arrivano i rifugiati, ma chi sono quelli che vendono le armi? Sono in genere i Paesi ricchi. La Chiesa  in tutto questo deve essere testimone, deve fare quello che può – non può fare tutto – però deve almeno creare una coscienza di non essere mai tranquilli di fronte a questi fenomeni.








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