2015-08-18 14:01:00

Strage Bangkok: si cerca sospetto ripreso dalle telecamere


Nuova tensione al centro di Bangkok, all’indomani dell’attentato che ha provocato 22 morti e oltre 120 feriti. Una bomba a mano è stata lanciata da un ponte verso un molo affollato, senza tuttavia provocare feriti. L'uomo che la lanciato l'ordigno non è stato identificato. Le autorità thailandesi affermano invece di aver identificato l’autore della strage di ieri grazie alle telecamere nella zona. Intanto è sempre più accreditata la pista delle cosiddette 'camicie rosse', vicine all’ex premier Thaksin Shinawatra e in contrapposizione alla giunta militare al potere. Marco Guerra ne ha parlato con Stefano Vecchia, giornalista esperto di Estremo Oriente:

R. – E’ un’ipotesi plausibile, certamente lo è dal punto di vista dei militari al potere, del governo che ad essi si appoggia. Lo è forse un po’ meno avendo presente la repressione reale che ha colpito il Paese negli ultimi 15 mesi da quando c’è stato il colpo di Stato militare nel maggio dello scorso anno. Un Paese sotto stretto controllo, con pochi spazi di libertà civili e di democrazia parlamentare. I partiti esistono ma di fatto non possono riunirsi. Questa situazione da un lato provoca o può provocare reazioni e dall’altro ha creato veramente un grande sconcerto e sostanzialmente azzerando, annullando ogni tipo di espressione contraria al potere al momento a Bangkok.

D. – Quindi per il momento il fantasma del terrorismo islamico di matrice internazionale può essere escluso?

R. – Può essere escluso, almeno non ci sono dati consistenti in questo senso, come può essere escluso, anche se non al cento per cento, un intervento della militanza indipendentista, che pure è di fede musulmana, dell’estremo sud al confine della Malesia che da anni è impegnata in una guerriglia contro il governo di Bangkok che ritiene un colonizzatore.

D. – Ma qual  era l’obiettivo di questa bomba collocata in una zona molto affollata della città? Secondo le autorità c’era la volontà di provocare il massimo numero di vittime fra cui anche turisti…

R. – Sì, questo purtroppo senza dubbio. Di fatto è il più grave attentato di questo genere in Thailandia, almeno nella storia recente. Il fatto che abbia colpito un posto non soltanto molto frequentato come il sacrario induista di Erawan ma anche un’area affollata di turisti e con grandi alberghi e grandi magazzini, chiaramente è il cuore strategico di questa immagine della Thailandia che vuole essere aperta, che vuole essere anche del business, e che vuole essere accogliente verso il turismo. Quindi una località scelta certamente non a caso che però apre anche i dubbi sulla reale volontà poi di chi ha provocato l’attentato. Altri obiettivi sarebbero stati certamente più clamorosi e con un maggior numero di vittime probabilmente.

D. – Ma che fase è per la Thailandia? La giunta militare detiene ancora il potere, c’è un processo di normalizzazione in corso?

R. – E’ un processo di normalizzazione guidato dai militari che sostengono le élite tradizionali di questo Paese, quindi aristocrazia, e si appoggiano comunque a una situazione monarchica e a dei gruppi economici di grande rilievo. Di conseguenza la normalizzazione avviene sul piano di un arretramento in qualche modo degli strumenti democratici anche dei diritti civili e umani perché secondo la concezione di chi governa attualmente, in particolare  dei militari, la necessità è quella di stabilizzare il Paese, più che normalizzare, stabilizzare. Hanno avviato un loro processo, una loro road map verso le elezioni che però vengono sempre più spostate, a questo punto al 2017, mentre nel frattempo si vengono a creare una serie di istituzioni “filtro” che di fatto permetteranno in futuro ben poche possibilità di libera espressione.

D. – Qualora venisse confermata la pista delle 'camicie rosse' ci sarebbe un’ulteriore stretta da parte delle autorità militari?

R.  – Sicuramente questo evento, chiunque ne sia responsabile, porterà a un ulteriore irrigidimento del potere militare. I gruppi dissidenti sono presenti; sono dissidenti a livello politico ma anche a livello operativo, potenzialmente anche militante. E ci sono gruppi che dispongono anche di armi. La questione è che la dissidenza, l’opposizione al governo militare, è stata repressa per questi 15 mesi in modo molto forte. Questo da un lato può provocare in qualunque momento una reazione e quello di ieri potrebbe essere stato un esempio di questa reazione.








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