2015-08-16 12:30:00

All'Expo la "Pastorale cilentana", un film di Mario Martone


Su un enorme schermo che accoglie i visitatori del Padiglione Zero all'Esposizione universale di Milano viene proiettato ogni giorno un breve film di Mario Martone - visto anche la Festival di Locarno - dal titolo "Pastorale cilentana", un omaggio che il regista di "Noi credevamo" e de "Il giovane favoloso" dedicato a Leopardi, fa alla natura incontaminata e al lavoro dei campi. Dall'Expo di Milano, il servizio di Luca Pellegrini:

Lavoro, famiglia, greggi e cibo sul finire del XIV secolo. Per l'Esposizione universale di Milano che ha come tema "Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita", Mario Martone s'immagina, nella sua breve "Pastorale cilentana", la giornata di un pastore negli incontaminati spazi montuosi del Cilento, in Campania. Migliaia di visitatori la possono vedere proiettata sull'enorme schermo - 45 metri - che li accoglie all'interno del Padiglione Zero. Il regista napoletano ci spiega come è nato questo progetto:

“Lo stimolo era quello di comporre, nel Padiglione Zero, immagini in movimento, un film, che avessero come tema – appunto – il rapporto con l’alimentazione e con la terra nel Medioevo, cioè quando si forma un rapporto più evoluto, ma ancora controllato, tra uomo e territorio. Poi, questo mi ha dato la possibilità – grazie all’idea che ha avuto Ippolita di Majo di realizzare questo film in Cilento – di andare a fare cinema in un luogo che mi è molto caro. E quindi è venuto fuori questo piccolo film di 20 minuti, gemmato da questo lungo percorso, prima "Noi credevamo” e anche "Il giovane favoloso": c’è anche l’ascolto dei ritmi della natura, del suo silenzio e del suo fluire, che certo Leopardi insegna come nessun altro”.

Il Cilento: una terra arcaica per cultura e agricoltura, la cui forza si esprime nelle immagini cercate e studiate dalla sceneggiatrice Ippolita di Majo. Che ha scritto in fondo un film sui valori della civiltà contadina, ormai scomparsa, come lei stessa racconta:

“Per riproporre una forma di organicità, di armonia nella relazione tra l’uomo e la natura, tra l’uomo e l’alimentazione e la terra e il modo di usare la terra, però in una reciprocità di rapporto con la terra e con gli animali. Non in una logica di sfruttamento selvaggio, come accade oggi. Ci sembrava che riandare all’arcaicità di quel paesaggio, di quei luoghi, di quei tempi e di quei rapporti consentisse, in qualche modo, di ritrovare uno sguardo che è lo sguardo del bambino, il nostro protagonista. Uno sguardo puro, in un rapporto di utilizzo: mangiano, si cibano di carne, lavorano la terra, ma è ancora un rapporto di scambio”.

Nel film si ascoltano soltanto i suoni universali della natura. Martone ne spiega le ragioni:

“Tutti possono vedere questo film al Padiglione Zero, che è un padiglione attraverso il quale entrano gli spettatori di tutto il mondo. Quindi, naturalmente, non c’era una lingua che dovesse orientare una nazionalità. Ma questo è diventato molto importante per me sul piano espressivo: il fatto che comunque, in questo modo, fosse possibile lasciare spazio all’ascolto. Mi sembrava che, invece, lo spazio che si apriva davanti agli occhi, il tempo che veniva determinato da queste inquadrature con i campi lunghi e così via, dovessero lasciar fluire anche il suono: la natura suona, si esprime, parla attraverso il vento, attraverso i versi degli animali, i ronzii, la pioggia... Mi sembrava che non ci fosse dimensione migliore …”.








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