2015-08-15 10:29:00

Card. Parolin a Timor Est: come 500 anni fa, evangelizzare con fede e azione


Si è chiusa oggi a Dil,i con una solenne celebrazione eucaristica nella festività dell’Assunta, la tappa a Timor Est del lungo viaggio che il segretario di Stato, cardinale Pietro Parolin, sta compiendo in questi giorni in Asia. All’indomani della storica firma dell’accordo bilaterale per lo sviluppo del Paese, la giornata odierna si è incentrata sulla commemorazione del quinto centenario dell’evangelizzazione della Repubblica e sulle prospettive future dell’annuncio di Cristo. Il servizio di Gabriella Ceraso:

“La pace e la gioia di Cristo sia sempre con voi!” Quella gioia che “ho potuto toccare con mano e che è nei vostri cuori da quando, 500 anni fa, la croce di Gesù è stata piantata sul vostro suolo” dai missionari portoghesi.

La gioia dell’incontro con Cristo
E’ questo il messaggio che il cardinale Pietro Parolin ha voluto lasciare alle autorità, ai vescovi, ai religiosi e al popolo timorese che hanno partecipato alla grande Messa celebrata a Dili nella solennità dell’Assunta, in questo ultimo giorno trascorso a Timor Est prima della partenza per Singapore.

Come Giovanni nel grembo di Elisabetta, sussulta di gioia al saluto di Maria giunta in visita così, ha ribadito il cardinale prendendo spunto dal Vangelo odierno, il popolo di “questa amata terra” - quasi naturalmente predisposto per gentilezza, calore e amore ad abbracciare il cristianesimo - fu colmo di “gioia accogliente” all’arrivo del messaggio di Gesù portato dagli evangelizzatori nel ‘500. Oggi, per restare in quel “flusso di gioia” e continuare nell’annuncio servono “fede e azione”. Il cardinale Parolin lascia questi due impegni alla comunità timorese, il cui cammino, specie nei momenti drammatici dell’indipendenza, rivela di aver seguito da vicino quando era giovane sacerdote in Segreteria di Stato.

Fede e Azione nel futuro di Timor Est
La fede è la vicinanza e il dialogo costante con Gesù, posto al centro della nostra vita; l’azione è il “cammino in avanti della comunità”, in “ uscita” come chiede Papa Francesco, lasciando tutto per il Vangelo sull'esempio dei primi missionari.”Questo deve fare la Chiesa oggi”: andare "con coraggio verso gli altri, cercare chi si è allontanato, essere coinvolta con la parole e le opere nella vita quotidiana delle persone, essere di sostegno e fonte di gioia sempre”. "Non potremmo mai essere a nostro agio” ripete il segretario di Stato ai laici e ai religiosi timoresi, “quando sappiamo che tanti nostri fratelli hanno bisogno del balsamo della misericordia  e del tocco dell'amore”.

Maria Assunta in cielo, segno di speranza e conforto
Nel nuovo corso dell’evangelizzazione a Timor Est il cardinale Parolin indica ancora una volta ai fedeli Gesù come modello, e Maria, Assunta in cielo in anima e corpo, come segno di speranza e conforto: perché, dice, come Lei anche noi possiamo stare sempre al fianco di Gesù. 

Al termine della Messa in un saluto affettuoso e fraterno a tutta la comunità timorese che lo ha accolto "come un fratello" in questi giorni, il cardinale ribadisce l'impegno della Chiesa ad accompagnare anche nel futuro la nazione asiatica nelle sue aspirazioni di giustizia, solidarietà e pace.

Dunque nella storia di Timor Est la Chiesa ha avuto sempre un ruolo importante di vicinanza e sostegno,come ha ribadito il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin nella sua visita alla Repubblica che oggi festeggia i cinquecento anni di evangelizzazione ad opera dei primi missionari domenicani. Particolarmente difficile fu il lungo cammino per la conquista dell'indipendenza ottenuta nel 1999 dopo il colonialismo portoghese e il più recente dominio dell’Indonesia, come racconta al microfono di Giacomo Zandonini, il superiore della Visitatoria Salesiana di Indonesia e Timor Est, don Joao Paulino Aparicio Guterres:

R. – Nel 1975, nel mese di dicembre l’Indonesia ci ha praticamente invaso. All’inizio la loro fu una motivazione politica: pensavano che Timor sarebbe diventato un Paese filocomunista, cosa che in pratica non è vera. Quindi, con quell’obiettivo  il presidente di allora, Suharto, ha emanato un decreto con il quale i militari hanno invaso l’Indonesia e tante persone sono state uccise. Dal 1975 fino al 1999 sono morte 200 mila persone a causa di questa guerra. Qual è stato quindi il lavoro della Chiesa, in questo tempo? Prima di tutto, la difesa dei diritti umani; secondo – certamente – l’evangelizzazione: posso testimoniare che la Chiesa è stata molto vicina al popolo durante questa occupazione militare.

D. – La guerra entrava nelle case di tutti: lei ha in mente qualche episodio, qualche memoria di questo ventennio terribile?

R. – C’erano bombardamenti aerei, ma anche dal mare e da parte dell’esercito di terra, con tanti morti tra i civili. Nacquero allora gruppi timoresi paramilitari per lottare contro questa invasione barbarica. Direi che oggi il ruolo della Chiesa debba cambiare: la Chiesa cattolica, oggi, ha ancora una grande influenza ma deve fare ancora più evangelizzazione, un’evangelizzazione che di per sé dovrebbe essere più umanistica; aiutare il popolo a far sì che questa fede non sia soltanto da professare, ma faccia veramente parte della vita di ognuno.

D. – I cattolici sono cresciuti molto: le statistiche dicono che erano il 22 per cento della popolazione; oggi sono oltre il 95 per cento. E’ dovuto anche al fatto che c’è una maggiore libertà religiosa?

R. – Per loro natura, i timoresi sono religiosi; però, fino al 1975 la presenza della Chiesa non è stata così forte come oggi, o durante o dopo la guerra. Durante la guerra, l’Indonesia ha dato libertà al popolo timorese di scegliere la propria religione: le persone potevano scegliere se essere musulmane, cattoliche, protestanti, indù o buddisti. Si poteva scegliere, ma solo tra queste cinque religioni. L’aiuto e la vicinanza da parte della Chiesa, che è stato molto forte in quel tempo difficile, ha fatto sì che il popolo scegliesse il cattolicesimo. Prima, nella maggioranza i timoresi erano animisti …

D. – Nella lettera che ha scritto l’anno scorso ai presuli di Timor Est, Papa Francesco auspicava una Chiesa libera che fosse anche una coscienza critica del Paese. Secondo lei, come vanno interpretate queste parole del Papa?

R. – Credo che la Chiesa non debba entrare troppo in politica, ma debba svolgere il suo ruolo come Chiesa nell’evangelizzazione, e dare anche maggiore importanza all’educazione del popolo stesso, soprattutto dei più giovani. Ultimamente, abbiamo avuto problemi: tanti sono morti non solo per colpa degli indonesiani, ma anche per colpa dei timoresi stessi.

D. – Passata l’indipendenza, non sono finiti i problemi del Paese: rimane una problematica di tipo economico. Quanto questo influisce anche sul lavoro ecclesiastico, e quanto secondo lei è importante dare una prospettiva di benessere maggiore ai cittadini di Timor?

R. – Economicamente, Timor ha risorse: parliamo di petrolio e altre risorse. Però, la distribuzione di queste ricchezze non va al popolo, che ne ha maggiormente bisogno. Ci sono anche soldi male usati … La povertà, sì, è ancora molto forte: la Chiesa si deve fare portavoce del popolo, considerare anche questo punto di vista. Però, la Chiesa deve dare più importanza all’educazione, perché è l’educazione che fa avere una prospettiva nuova verso una nazione che avrà più giustizia, una pace duratura …








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