2015-08-13 13:59:00

Myanmar: giunta militare rimuove leader del partito di governo


Il leader del partito di governo in Birmania, Shwe Mann, è stato rimosso dall’incarico insieme al segretario del partito. Al loro posto uomini di fiducia del presidente Thein Sein, esponente forte della giunta militare al potere. La decisione arriva a tre mesi delle elezioni parlamentari, le prime dalla fine della dittatura nel 2011. Il Paese vive quindi un momento di transizione, in cui l’influenza dei militari è ancora decisiva, come spiega al microfono di Michele Raviart, Cecilia Brighi, segretario generale di “Italia-Birmania insieme”:

R. – E’ partito lo scontro per le elezioni dell’8 novembre: è uno scontro interno al partito di governo formato prevalentemente da ex-militari e dall’organizzazione paramilitare che gestiva il Paese durante la dittatura. Devo dire, è un fatto molto grave e che dà il segno di come in fondo questo Paese sia cambiato molto poco. La sede del partito è stata circondata dalle forze di polizia e le forze di polizia sono andate anche a casa di Shwe Mann che era presidente del partito ma è anche il portavoce del Parlamento.

D. – Shwe Mann vuole candidarsi alle presidenziali che ci saranno dopo le parlamentari di novembre. Anche lui è un militare come il presidente Thein Sein. Che rapporti ci sono tra i due?

R. – Thein Sein, che è il presidente della Repubblica, e Shwe Mann sono entrambi ex-generali che hanno avuto ruoli importanti durante la dittatura militare. Shwe Mann ha portato il partito di governo a votare a favore dei cambiamenti costituzionali che avrebbero in qualche modo facilitato una maggiore democratizzazione del Paese, una riduzione del ruolo dei militari all’interno del Parlamento. Questa scelta è stata condannata duramente dai militari tant’è che nella circoscrizione in cui Shwe Mann era stato eletto al parlamento c’è stata una petizione contro di lui perché non aveva informato l'elettorato di questa posizione di volontà di ridurre il ruolo dei militari.

D. – In questo contesto, che spazio c’è per il Premio Nobel Aung San Suu Kyi?

R. – Aung San Suu Ky e il partito Lnd vinceranno sicuramente le elezioni: questo il partito di governo lo sa benissimo. Ma io penso che non sarà una vittoria così eclatante, perché anche i partiti degli Stati etnici si stanno organizzando. Sicuramente si andrà a un governo di coalizione.

D. – Come si possono valutare le prossime elezioni nel quadro di una democratizzazione del Paese?

R. – Sono un passaggio importante rispetto a questioni quali la trasparenza, l’inclusività e la correttezza del processo elettorale. E’ anche vero che nei giorni scorsi il Parlamento ha approvato la sospensione della Carta transitoria che permetterebbe a coloro che non hanno una vera cittadinanza di poter partecipare alle elezioni: a oltre 400 mila persone è già stata ritirata; soprattutto nello Stato Arakan, dove c’è la famosa etnìa Rohingya, questi non potranno partecipare alle elezioni. Quindi sicuramente non sarà un passaggio definitivo alla democrazia, perché ancora oggi i militari hanno il 25% dei seggi parlamentari. La richiesta di federalismo è ancora tutta sulla carta e gli Stati federali e le regioni hanno i primi ministri che vengono decisi a Naypyidaw, la capitale. Sicuramente, questi elementi – dopo le elezioni – rimarranno uguali.








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