2015-08-13 20:05:00

Libia: battaglia tra civili e Is, che in Iraq rivendica attentato


Sanguinosa battaglia in Libia, a Sirte, fra fazioni salafite appoggiate dai cittadini e miliziani del sedicente Stato Islamico. I fondamentalisti hanno bombardato la città facendo decine di vittime civili. La rivolta dei gruppi salafiti contro l'Is è scoppiata dopo l'uccisione da parte degli estremisti islamici del loro leader Khaled Ben Rjab. Paola Simonetti:

Decine di cittadini armati si sono uniti ai gruppi salafiti per cacciare l'Is dalla loro città, Sirte. Lo stanno facendo al prezzo della vita, in una battaglia che vede cadere sul campo molti civili: almeno 30 le vittime dei bombardamenti delle milizie fondamentaliste fedeli al califfo al-Baghdadi dopo gli scontri scoppiati in città tra jihadisti e fazioni salafite. I colpi di artiglieria sono rivolti verso l'area residenziale della città. Il sedicente Stato Islamico intanto fa sapere di aver ripreso il controllo della zona portuale, strappata nei giorni scorsi dagli insorti alle milizie. Una carneficina denuncia il  Comitato nazionale per la difesa dei diritti umani: "Nella città di Sirte i civili sono vittime di un progetto di sterminio di massa perpetrato dall'Is  - ha spiegato l'organizzazione non governativa-bombardando la città in modo indiscriminato". La rivolta dei gruppi salafiti contro l'Is è scoppiata dopo l'uccisione da parte dello Stato islamico del leader salafita Khaled Ben Rjab.

In Iraq è stato rivendicato dall’autoproclamato califfato islamico l’attentato, avvenuto questa mattina all’alba, in un mercato di Sadr City, quartiere sciita della capitale Baghdad. 76 i morti accertati, oltre 200 i feriti, per un attacco organizzato contro l’esercito e le milizie sciite.  L’ennesima strage arriva nei giorni in cui il governo di al Abadi solleva i vertici legati all’ex premier al Maliki e porta avanti riforme anticorruzione. Ascoltiamo l’analisi del prof. Fabrizio Battistelli, presidente dell’istituto di ricerche “Archivio Disarmo”, al microfono di Elvira Ragosta:

R. – Ancora una volta siamo di fronte a questa tragedia, che coincide peraltro con le strategie delle forze che destabilizzano l’Iraq dal 2003, dalla infelice invasione del Paese da parte degli americani. Non si è mai fermata, ma probabilmente con l’affermazione dell’Is ha raggiunto dei livelli inauditi di forza, di violenza e di crudeltà.

D. – Questi attentati arrivano in un momento molto delicato per la politica irachena: cresce il malcontento della popolazione per l’alto tasso di corruzione, per gli estremi costi della politica. Il parlamento ha approvato una serie di riforme e il premier ha sollevato il segretario generale del Consiglio dei ministri, considerato un fedelissimo dell’ex premier Al-Maliki. Che tipo di relazione ci può essere tra i due avvenimenti?

R. – Paradossalmente, può darsi proprio che si possa interpretare come una strategia vincente da parte del nuovo premier Al-Abadi che ha toccato, e sta toccando, alcuni punti nevralgici del potere in Iraq. Prendendo le distanze da Al-Maliki che, tra l’altro, perde anche il ruolo di vicepresidente, in una situazione che non consentiva alternative, perché la prosecuzione della politica dissennata di contrapposizioni tra confessioni religiose - fra l’altro tutte interne all’Islam - perseguita da Al-Maliki in una visione ultra-sciita, non era più appoggiata neanche dai religiosi sciiti.

D. – In un contesto di contrapposizione clanica, secondo lei queste iniziative potranno a breve portare a dei risultati positivi?

R. – Tutto dipende dal quadro generale. È possibile che degli effetti positivi si facciano sentire con il nuovo ruolo dell’Iran, ormai definitivamente sdoganato come potenza regionale, e unico possibile protagonista di una vera e propria resistenza sia politica che militare nei confronti dell’Is. Solo attraverso una convergenza con l’Iran, gli Stati Uniti riescono, anche a distanza – attraverso dei bombardamenti aerei – ma solo con forze di terra a guida iraniana, sono in grado di fermare l’offensiva dell’Is. Quindi, l’Iran riuscirà in qualche modo a stabilizzare il Paese? Ci riuscirà se avrà una politica moderata di accettazione delle differenze e quindi di rispetto dei sunniti e dei curdi. Se farà invece una politica pan-sciita estremista, a sua volta acuirà le differenze e quindi i problemi. Tutto però, come sempre accade in queste crisi militari, può trovare una soluzione in un processo politico di ricomposizione degli interessi legittimi almeno che sono nell’area. Sul piano strettamente militare, poi, ci vogliono forze di terra: su questo non si sfugge! E queste forze le può fornire, anche solo guidandole – non a caso è un generale iraniano che in questo momento ha la supervisione delle operazioni – guidandole da parte dell’Iran. Quindi, un grande spazio all’Iran. A livello locale può essere un elemento di stabilizzazione… Che cosa succederà nel Medio Oriente allargato? Tutto questo susciterà la reazione negativa dell’Arabia Saudita che è custode dell’ortodossia sunnita e quindi è anti-sciita: un ulteriore elemento di complessità. Un lievissimo ottimismo – se di ottimismo si può parlare sullo scenario del contenimento dell’Is – ma problemi destinati a durare a livello sistemico in tutto il Medio Oriente.

 

 








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