2015-08-08 13:43:00

A Festival Locarno, "Genitori" film sulla famiglia tra speranze e fragilità


Sarà presentato lunedì prossimo nella sezione Fuori concorso del Festival del Film di Locarno il documentario di Alberto Fasulo "Genitori": come nelle famiglie si affrontano dolore e difficoltà, ma anche si coltivano speranze, quando ogni giorno ci si confronta con la disabilità dei propri figli. Un film importante e necessario. Il servizio del nostro inviato a Locarno, Luca Pellegrini:

Dodici madri e due padri sono obbligati a confrontarsi con la disabilità dei loro figli. Si riuniscono ogni quindici giorni per mettere a nudo tutte le loro paure e condividere esperienze e speranze. Fanno parte dell'Associazione "Vivere insieme", nata nel 1996 a San Vito al Tagliamento, in provincia di Pordenone. Alberto Fasulo, sensibile documentarista, le ha conosciute e ne è rimasto a tal punto coinvolto da voler girare un film su di loro e soltanto con loro, "Genitori", che sarà nelle sale italiane in ottobre. Il regista ne spiega le ragioni.

R. - Facendo una riflessione con la mia produttrice abbiamo sentito l’importanza di questo tema e di questo aspetto del mondo della disabilità del quale non si parla mai. Dietro ai disabili c’è un contesto che si muove.

Non è stato facile impostare il lavoro nel gruppo.

R. – Si è discusso molto, all’inizio, sul fatto che loro non volevano apparire assolutamente egocentriche. Volevano mettere in mostra la loro storia personale in qualche modo. Quindi all’inizio abbiamo riflettuto su cosa sia un film documentario, sul mezzo e sull’opportunità che si poteva avere facendo un lavoro del genere. Nell’arco di cinque anni siamo diventati molto amici. Sono in realtà della classe dei loro figli, per cui mi sento anche un po’ un figlio adottato. È stata un’esperienza, umanamente e cinematograficamente, molto importante per me.

Sembra un film statico, invece è molto dinamico nei dialoghi e nei sentimenti che queste madri fanno emergere ricordando i figli scomparsi o che sono ancora in vita, in termini però così problematici per loro.

R. – Tutti i miei film ingaggiano un po’ una sfida di linguaggio. Questa volta ho sentito, in qualche modo, quella di riuscire a fare un film dentro una stanza, cioè all’interno di un luogo che pur essendo molto fermo, fisso ovviamente, però il tempo passa, il confronto cresce e le storie in qualche modo si evolvono. Ho creduto nell’importanza di cercare un’universalità in questo tema che travalicasse anche il mondo della disabilità puntando molto sui genitori. Questo era possibile solo attraverso i volti e le caratteristiche di ognuno di loro.

Il rapporto che queste madri hanno con la malattia, il dolore e la morte è molto vario: dalla ribellione all'accettazione, dal dubbio alla fede. Ma il fatto per loro più importante è l'ascolto.

R. – Assolutamente. Questo è uno dei punti centrali del film, ovvero l’importanza dello scambio e del mutuo sostegno. Credo che queste madri, questo gruppo siano oggi un grande antidoto per la nostra società. Questo per me rappresenta la magia di questo film: riscoprire che lo scambio, così profondo, è un grande medicinale, un grande supporto.








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