2015-08-06 11:30:00

Porto Rico in default. Usa non prevede piano di salvataggio


Porto Rico è ufficialmente insolvente: l’isola caraibica, territorio degli Stati Uniti, non ha pagato la tranche da 58 milioni di dollari dei 72 miliardi ai quali ammonta complessivamente il suo debito. Un fallimento annunciato già a giugno, per “l’isola dell’incanto”, la cui unica risorsa economica è il turismo, e per la quale la Casa Bianca non prevede alcun piano di salvataggio. Quali scenari si aprono a questo punto? Roberta Barbi lo ha chiesto a Francesco Carlà, analista finanziario e presidente di "Finanza World":

R. - Porto Rico già lunedì non ha rimborsato i bond che erano stati emessi da una delle sue agenzie: si tratta di 58 milioni di dollari. Questo vuol dire che i creditori non hanno avuto i soldi che chiedevano. La situazione attuale è quella di un primo passo verso un default complessivo - se anche le prossime scadenze non verranno onorate - e quindi si va verso la possibile ristrutturazione del debito.

D. - Il governatore portoricano Padilla, già a fine giugno, aveva annunciato di non avere abbastanza fondi per rimborsare il debito da 72 miliardi di dollari. Quindi era un default atteso in qualche modo?

R. - Il tema non è il rimborso del debito complessivo, perché nessun Paese deve mai rimborsare complessivamente il suo debito; il problema è che la scelta politica del primo ministro è quella di conservare la liquidità che ha, di non usarla per onorare le scadenze che si presentano via via, ma di usarla invece per le esigenze del Paese e dei cittadini di Porto Rico. È una scelta politica esattamente come quella che ci siamo trovati di fronte qualche settimana fa con la Grecia.

D. - È pensabile una ristrutturazione del debito con un piano di salvataggio simile a quello adottato per il fallimento della città di Detroit due anni fa?

R. - La situazione rispetto a Detroit è abbastanza diversa, perché Detroit "è" una città americana, Porto Rico è un territorio che "appartiene" agli Stati Uniti e probabilmente c’è bisogno di una modifica legislativa per ottenere condizioni simili a quelle legate a Detroit. Lo scenario, quindi, si presenta molto diverso: è molto probabile che si andrà verso una ristrutturazione – probabilmente verrà presentato un piano entro la fine di agosto – che avrà delle condizioni molto diverse, perché il debito di Porto Rico è arrivato in gran parte agli investitori “retail”, cioè persone individuali che si trovano di fronte a una perdita secca probabilmente anche vicinissima al cento percento del loro investimento.

D. - Quale soluzione allora potrebbe essere davvero applicabile?

R. - Il processo di ristrutturazione è abbastanza complicato. È molto probabile che abbia a che fare con lo spacchettamento dei vari tipi debiti, perché Porto Rico ha 18.7 miliardi in obbligazioni teoricamente garantite dal governo, 15.2 miliardi di bond che sono garantite da un’entrata proveniente da una tassa sui consumi e altri 24.1 miliardi di dollari emessi da agenzie del territorio. Questi sono tutti debiti diversi l’uno dall’altro e probabilmente saranno inseriti nel piano di ristrutturazione in modo differente. Molti di questi bond erano in mano a istituzioni, banche di investimento, fondi che hanno - negli ultimi mesi - molto assottigliato la loro esposizione perché, appunto, il default di Porto Rico era già annunciato.

D. - Porto Rico potrebbe avere un’economia florida in virtù del suo particolare status, eppure si trova in recessione da nove anni …

R. - Io vorrei fare notare alcuni numeri secondo me piuttosto interessanti. Il debito pubblico di Porto Rico - abbiamo detto – ammontava, almeno alla fine di giugno del 2015, a 70 miliardi di dollari pari a circa il 57 percento del Pil; è un rapporto debito–Pil che, se ci fosse in Europa, sarebbe pochissimo. Quindi, apparentemente, la condizione finanziaria di Porto Rico non è così disastrosa; il problema è che la liquidità di Porto Rico è molto scadente, perché non ha la fortuna di avere una Banca Centrale Europea come quella che abbiamo noi che finanzia questo aspetto. Anche da un punto di vista economico, i dati di Porto Rico non sono così disastrosi, perché abbiamo un tasso di disoccupazione intorno al 14 percento che è vero che rappresenta il più del doppio rispetto alla media degli Stati Uniti, però è anche vero che è un tasso non terribile. Il vero problema è la crescita, perché circa l’1 per cento della popolazione di Porto Rico lascia ogni anno l’isola – stiamo parlando di circa 30 mila persone – e questo naturalmente non migliora le condizioni economiche. A questo punto penso che molto dipenderà da che tipo di intervento decideranno di fare gli Stati Uniti, dalla loro volontà più o meno forte di uscire dall’ambiguità rispetto a Porto Rico e stabilire se il Paese diventi il 51.mo Stato dell’unione oppure no.








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