2015-08-06 10:05:00

Cile, depenalizzazione aborto. Mons. Chomali: giorno triste


“Un giorno triste per il Cile”: così mons. Fernando Chomali, arcivescovo di Concepción, commenta, in una nota, l’approvazione, da parte della Commissione Salute della Camera dei deputati cileni, del progetto di legge per la depenalizzazione dell’aborto. La proposta normativa legittima l’interruzione volontaria di gravidanza in tre casi: quando la gestazione mette in pericolo la vita della madre, quando il feto presenta malformazioni incompatibili con la vita e nel caso in cui la madre sia rimasta incinta in seguito a una violenza.

Un progetto di legge contrario alla scienza e alla Costituzione
“Questo progetto di legge – scrive il presule, citato dall’agenzia Sir - è sordo a tante esperienze meravigliose dove donne, in situazioni drammatiche e dolorose frutto della gravidanza, grazie all’accompagnamento, all’amore, all’aiuto di diversi tipi, hanno partorito e sono andate avanti”. “È sordo - prosegue mons. Chomali - all’evidenza scientifica la quale dimostra che la vita ha inizio a partire dalla fecondazione. È sordo al dettato costituzionale che sancisce la cura ed il rispetto della vita del nascituro”.

Il Cile perde la possibilità di veder nascere i suoi compatrioti
Non solo: tale normativa “è sorda alle convenzioni internazionali che stabiliscono il diritto alla vita a partire dal concepimento. È sordo all’esperienza di altri Paesi dove si è iniziato legittimando solo tre casi e si è finiti con l’aborto libero”. “Il Cile ha perso – conclude l’arcivescovo - e noi ci priveremo, per la sordità di alcuni, di molti compatrioti che non hanno avuto l’opportunità di decidere rispetto alla propria vita. Altri, adulti, hanno deciso che le loro vite non meritano di essere vissute ed hanno usato il Parlamento per permettere di eliminarli”. “In queste condizioni – è l’amara conclusione del presule - lo Stato di diritto in Cile è una mera favola”.

Università Cattolica: violata la dignità di ogni essere umano
Sulla stessa linea anche l’Istituto superiore di bioetica e quello di Scienze della famiglia, appartenenti all’Università Cattolica della Santissima Concezione (Ucsc): “L’azione deliberata e volontaria di provocare la morte di un embrione o feto - scrivono gli Istituti in una nota - è sempre, dalla prospettiva etica, un atto illecito, al di là delle circostanze, anche quando queste siano molto dolorose”. “Non è legittimo voler raggiungere un bene attraverso un male – sottolineano gli enti - L’illiceità si fonda sul fatto che un’azione orientata a porre fine intenzionalmente ad una vita di una persona umana si oppone alla giustizia e al bene comune, viola direttamente il principio di non uccidere e non riconosce la dignità che spetta a ogni essere umano”. (I.P.)








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