2015-08-02 07:58:00

Monsoni in Nepal: solidarietà tra i terremotati supera le caste


Giorni di intese piogge monsoniche e il passaggio di un ciclone tropicale hanno portato morte e devastazione in India, Nepal e Myanmar. Centinaia di villaggi sono inondati e decine di migliaia di persone sono state costrette a lasciare le case per rifugiarsi su alture o in campi di accoglienza. Almeno 80 le vittime nel nord est dell’India, dopo una frana nel distretto di Chandel, e altre 40 persone sono morte nel Bengala Occidentale colpito dal ciclone tropicale battezzato 'Komen'. Nel vicino Myanmar le autorità hanno dichiarato lo stato di calamità in quattro distretti occidentali, con un bilancio di almeno 27 vittime. In Nepal sono oltre 30 i morti a causa di frane e inondazioni provocate dalle piogge intense. Un bilancio che rischia di salire con l’intensificarsi dei monsoni, previsto per il mese di agosto. A essere colpite sono soprattutto le zone montuose a ridosso della catena dell’Himalaya, ma la gran parte dei nepalesi, vittime del violentissimo terremoto dello scorso aprile, è a rischio. Marco Sette racconta, al microfono di Giacomo Zandonini, l’impegno dell’associazione di volontariato “Jai Nepal” in questo difficile momento:

R. – Il Nepal è uno dei Paesi colpiti dal monsone, ma quest’anno abbiamo delle complicanze dovute al terremoto, che chiaramente ha creato una mancanza di copertura, quindi di case, di un ambiente vivibile per milioni di persone. Il monsone adesso, ad agosto, sarà violento. Noi ci auguriamo che sia limitato il danno con vittime e quant’altro, come stiamo sentendo in questi giorni, ma premetto – non per sminuire l’evento stesso - questo è accaduto ogni anno. Quest’anno le montagne con il terremoto si sono praticamente aperte in alcuni punti, le infiltrazioni d’acqua sono più violente e le valanghe di terra – definiamole così piuttosto che frane – si staccano con molta più facilità dai fianchi delle colline e delle montagne, anche perché le colline nepalesi hanno fino a 4.500-5.000 metri di quota.

D. – Cosa si può fare, e cosa avete fatto e state facendo voi, come Associazione, per portare un sollievo ai cittadini nepalesi colpiti da questa situazione?

R. – Abbiamo coinvolto ad oggi circa 246 volontari, la maggior parte sono universitari, con cui siamo andati a montare degli “shelter”, che sono delle coperture per evitare il contatto con l’umidità, e quindi la vita sotto l’acqua, che sarebbe terribile anche per infezioni polmonari e quant’altro. Abbiamo montato centinaia e centinaia di questi “shelter” nei villaggi più colpiti e continuiamo a montarne grazie alla generosità della diocesi di Roma e grazie anche – non posso non nominarlo – a mons. Zuppi. Stiamo anche portando un aiuto con l’acqua che è un altro dei problemi. Molte condotte si sono rotte, anche a molta distanza dal villaggio. Le persone stanno bevendo acqua dalle pozze, da sorgenti inquinatissime, con i relativi problemi immaginabili. Quindi abbiamo ricostruito alcuni acquedotti e abbiamo portato anche dei filtri che sterilizzano l’acqua, anche delle pozze piovane. Anni fa decine di migliaia di persone sono morte per infenzioni portate da acqua non potabile, senza antibiotici c’è stata veramente un’ecatombe. Quindi il Nepal è un Paese che ha bisogno di tanto aiuto e di coordinamento, che deve essere incoraggiato. Posso soltanto concludere dicendo una cosa: c’è stata una collaborazione e una condivisione che ha lasciato scioccati anche noi. E credo che questa sorta di solidarietà sia la cosa più bella dentro una tragedia che ci vede tristi. Non si è più guardato alle caste, non si è più guardato a chi uno appartiene, e questo è un problema che chiaramente in quell’area è molto forte: uno di una casta più alta che viene ad aiutare uno di una casta più bassa! Questo noi lo riteniamo veramente un miracolo. Il Nepal è il Paese del sorriso. Mi auguro che il sorriso possa tornare sul volto di tutti i nepalesi: un sorriso da destra e sinistra che - veramente - forse noi ce lo sogniamo!








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