2015-07-31 11:38:00

Mons. Auza: i piccoli Stati insulari rischiano di scomparire


I piccoli Stati insulari rischiano di scomparire a causa dei cambiamenti climatici. A lanciare l’allarme, al Consiglio di Sicurezza dell’Onu, è l’arcivescovo Bernardito Auza, osservatore permanente della Santa Sede alle Nazioni Unite. La sollecitazione è ad un’azione collettiva che punti all’assunzione di responsabilità, agli investimenti finanziari e ad un maggiore accesso alle energie rinnovabili per i Paesi poveri. Il servizio di Gabriella Ceraso:

Aumento della temperatura e del livello del mare, riscaldamento atmosferico, cicloni tropicali ed extratropicali, modifiche nelle precipitazioni. E’ questo che minaccia, non solo l’ambiente e lo sviluppo dei piccoli Stati insulari della Terra, ma la loro stessa “esistenza”. ”Abbiamo” dice mons. Auza,”l’obbligo morale di fare progressi” e di farli insieme” modificando innanzitutto l’approccio allo sviluppo, puntando cioè “all’efficienza energetica” e alla “sostituzione dei combustibili fossili”. Politica, religione, economia, scienza, ciascuno, è la raccomandazione di mons. Auza, deve dare il suo contributo e l’approccio deve essere integrale, perché “crisi ambientale e sociale sono inseparabili” come spiega il Papa nell’Enciclica Laudato Si’. Tre gli ambiti in cui agire subito, secondo l’osservatore permanente della Santa Sede, che sollecita: coraggio politico ai leader mondiali nel prossimo vertice di Parigi sul clima, perché la responsabilità prenda il posto della logica del profitto; impegno finanziario in favore di uno sviluppo sostenibile e aiuto dei Paesi ricchi ai più poveri perché possano aumentare l’accesso alle energie rinnovabili. Dunque l’emergenza per la scomparsa di interi piccoli Stati insulari è reale e l’aumento del livello del mare è ciò che fa più paura, come spiega Antonello Provenzale, direttore dell’Istituto di geoscienze e georisorse di Pisa:

R. – Il punto più preoccupante è che è una crescita non uniforme ma è una crescita che negli ultimi anni è diventata più rapida. Quindi ci si aspetta che per i prossimi 80 anni, nel 2.100, dovrebbe essere almeno di 50 cm, che è moltissimo, perché va a influenzare zone del mondo che sono basse, in particolare le isole del Pacifico, ma anche le Maldive nell’Oceano Indiano, le Isole Figi per le quali si sta addirittura discutendo di trasportare la popolazione altrove, le isole della Micronesia, Capo Verde, Paesi che in realtà hanno partecipato poco alla emissione di gas serra, quindi dovremmo ricordarci di questi posti non solo quando si pensa a una vacanza esotica, ma anche capire che sono potenzialmente minacciati.

D. - Quando si alza il livello del mare, non sono solo le isole che vengono coperte ma è una salinità che cresce anche nell’invadenza dell’acqua sul terreno, penso alle coltivazioni…

R. - Certo si ha una maggiore influenza dell’acqua di mare sulle falde costiere. Le falde acquifere sono l’acqua del futuro e quindi una comprensione di come le varie falde reagiscono sia alle possibili intrusioni saline da parte dell’acqua del mare o anche dell’acqua profonda che è più salata e anche allo loro sfruttamento, è uno dei problemi importanti anche per le regioni continentali, non solo per le isole.

D. – La comunità scientifica spera che si possa fare veramente un passo sostanzioso nella conferenza di Parigi?

R. – La speranza c’è sempre. Le indicazioni non sono così incoraggianti, però. Si fanno molte discussioni ma si riesce difficilmente a trovare degli accordi. Non è un problema facile, nel senso che il problema del clima è tipicamente una proiezione nel futuro che va affrontata con decisioni difficili, costose e potenzialmente impopolari, subito. La riduzione delle emissioni di gas serra non è una cosa facile da ottenere. E’ chiaro che è un obiettivo primario, ma richiede una serie di cambiamenti nella produzione di energia, proprio nella struttura industriale. E di fianco a questo che sta andando abbastanza a rilento c’è tutto il discorso dell’adattamento che è quello del dire: se anche congelassimo le emissioni ai livelli attuali, la temperatura continua ad aumentare e quindi dobbiamo adattarci. E adattarci vuol dire definire un'agricoltura per cui ci possono essere specie vegetali che resistono meglio alla siccità piuttosto che alle precipitazioni estreme, strategie di gestione dell’acqua, strategia anche di salute pubblica… Quindi l’adattamento è necessario, non può essere una scusa per non cercare di ridurre le emissioni, ma va implementato di fianco. L’Unione Europea chiede che ciascuna nazione abbia strategie di adattamento ai cambiamenti climatici.








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