2015-07-31 15:03:00

Afghanistan: Mansour nuovo capo dei talebani


E’ stata confermata, ieri, la nomina di Akhtar Mansour alla guida del movimento dei talebani, dopo che, nei giorni scorsi, era stata diffusa la notizia del decesso del mullah Omar, fondatore e storico leader del gruppo fondamentalista afghano. Descritto come un negoziatore, Mansour potrebbe svolgere un ruolo importante nei colloqui di pace, appena iniziati, fra i talebani e il governo di Kabul. Giuliano Battiston, giornalista esperto di Afghanistan, racconta le ultime evoluzioni di una situazione tragica e complessa al microfono di Giacomo Zandonini:

R. - Akhtar Mansour è stato per anni il numero due del movimento ed ha guidato, al posto del Mullah Omar, che per molto tempo è stato evanescente, il Consiglio della Leadership, cioè il massimo organo di rappresentanza politica dei Talebani. Negli anni '80 ha combattuto – sembra – proprio al fianco del Mullah Omar nel "jihad" contro i sovietici. Mansour è sicuramente un pragmatico all’interno della galassia talebana, incline al negoziato politico: fa parte della vecchia guardia dei “Turbanti neri”, quelli che hanno fondato il movimento e che sanno che è arrivato il momento di tessere un negoziato di pace con il governo di Kabul. Quindi, la sua nomina potrebbe far ben sperare per il futuro del Paese e del conflitto afghano. Il guaio è che oltre a lui sono stati nominati due vice: uno di questi è Sirajuddin Haqqani, il figlio del fondatore del Gruppo Haqqani, che tra i movimenti anti-governativi in Afghanistan è quello più spietato, quello a cui si attribuiscono gli attentati più clamorosi in Afghanistan.

D. – Per quanto riguarda invece il ruolo del sedicente Stato Islamico, che cosa c’è in gioco?

R. – Lo Stato Islamico sta cercando di conquistare terreno e uomini all’interno dell’Afghanistan e ai talebani questo non piace, perché ci sono differenze dottrinarie e ideologiche, e anche pratiche. Mullah Mansour, l’attuale numero uno dei Talebani, proprio qualche settimana fa ha scritto una lettera di suo pugno, resa pubblica e destinata al califfo al-Baghdadi in cui diceva: “Mettete giù le mani dal nostro Paese, il jihad qui è nostro, non va aperto un nuovo fronte”. Il rischio però è che con la mancanza di una leadership riconosciuta, e che teneva insieme le diverse anime dei “Turbanti neri”, si possano approfondire le spaccature esistenti all’interno del movimento e potrebbe giovarne proprio lo Stato Islamico.

D. – Qual è il sentore dei cittadini afghani rispetto a una situazione di conflitto protratta nel tempo?

R. – Credo ci siano due sentimenti prevalenti: il primo è la speranza che questi negoziati di pace finalmente portino a qualcosa di definitivo, e mettano fine a una guerra che dura da moltissimi anni. Il secondo però è un certo sospetto, piuttosto diffuso, riguardo ai talebani, che si sono macchiati di crimini orrendi e che quando hanno governato il Paese l’hanno fatto andando contro i sentimenti della maggioranza della popolazione. Quindi c’è speranza per un futuro accordo di pace, ma c’è anche sospetto e attenzione verso le concessioni che verranno fatte ai talebani durante i negoziati di pace.

D. – Ci sono anche attori regionali e attori interni, che avranno un peso importantissimo…

R. – Gli attori regionali sembrano aver cambiato un po’ la propria politica: il Pakistan, che è sempre stato accusato di sostenere gli islamisti armati, sembra aver capito che la minaccia talebana rischia di affondare anche il proprio Paese e sembra determinato a favorire il processo di pace, però siamo ancora in alto mare e si vedrà tutto nei prossimi mesi.








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