2015-07-30 13:47:00

Siria: peggiora crisi umanitaria. Mons. Khazen, “No a zona cuscinetto”


Nuove violenze si registrano nelle aree di crisi del Medio Oriente. Attentati e combattimenti in Yemen, Iraq, Siria e Libia che vedono coinvolti i miliziani del sedicente Stato Islamico. Intanto continuano i raid della coalizione a guida Usa sulle roccaforti jihadiste, mentre stamane tre soldati turchi sono stati uccisi dai curdi del Pkk. In questo caos arriva l’ennesimo allarme del segretario Onu Ban Ki-moon, secondo il quale la crisi siriana continua a deteriorarsi in tutti gli aspetti. Per una testimonianza della situazione in Siria Marco Guerra ha intervistato il vicario apostolico di Aleppo mons. Georges Abou Khazen:

R. – In città, la situazione continua ad essere come prima, non c’è sicurezza, tra colpi di mortaio e bombardamenti. Dal punto di vista, però, della vita quotidiana, ci sono miglioramenti per l’acqua e la luce. Non è, comunque, una situazione sicura; ancora non è finita - non c’è sicurezza, non c’è calma – e la gente ha paura di quello che sta succedendo e di quello che potrebbe accadere. Adesso, ha paura soprattutto della confusione che creerà la Turchia. Speriamo di no.

D. – Sì, infatti la Turchia vuole creare una zona cuscinetto tra la Siria e i suoi confini, per espellere i miliziani dello Stato islamico da queste aree…

R. – Noi abbiamo paura di questo: che con la scusa dell’Is, la Turchia abbia tutta un’altra intenzione, tutto un altro progetto. Noi sappiamo bene che i miliziani dell’Is arrivano in Siria e in Iraq attraverso la Turchia. E’ molto più facile, quindi, per la Turchia, invece di combattere, impedirgli di entrare: non addestrarli più, non far arrivare più le armi. Quindi, noi non vogliamo che aumenti il caos, che la guerra entri in Turchia. Noi vogliamo, piuttosto, sempre più restringere queste ostilità e non incrementarle. Invece facendo pressione sui curdi, i curdi faranno pressione su altri e così via. E’ tutta una catena, purtroppo, di morte, di aggressioni e di violenza e noi non vogliamo questo. Abbiamo detto, invece, di creare non solo zone di sicurezza, ma di rendere tutto il Paese sicuro. Perché non fare pressione sulle parti per fare la pace, per dialogare insieme?

D. – Voi non auspicate quindi una zona cuscinetto, volete la pace per tutto il Paese…

R. – Vogliamo la pace per tutto il Paese! Noi siamo contrari ad una sorta di divisione. Ce ne sono già abbastanza: divisioni tra gruppi etnici, tra gruppi religiosi, nel territorio. Non vogliamo aumentare questa confusione. Perché non si fa pressione sulle parti per stare insieme e dialogare?

D. – C’è ancora lo spazio e un margine per il dialogo?

R. – Sicuro, perché la gente è stanca, la gente non vuole saperne più della guerra: la gente vuole vivere in pace, tutti i siriani, sia quelli che sono in Siria, sia i profughi che, poveretti, sono fuori. Purtroppo, la maggioranza assoluta dei combattenti sono stranieri, non sono siriani.

D. – Quindi, il primo obiettivo, secondo lei, deve essere: impedire ai combattenti stranieri di arrivare in Siria…

R. – Certo, e anche di non addestrarli, di non dargli armi. La guerra è cominciata fra le parti e le fazioni siriane, ma pian piano ha preso tutto un altro aspetto, ha preso un aspetto radicale e jihadista, cosa che ha attirato questi combattenti dall’estero. La Siria ha vissuto finora con 23 differenti gruppi etnici e religiosi e vivevano tutti insieme in armonia, era un bel mosaico.

D. – La comunità cristiana, quindi, di Aleppo come sta vivendo questi ultimi tempi?

R. – La gente che ha potuto ha lasciato e finora chi può, sta continuando a lasciare la città. Nonostante tutto, però, nonostante le difficoltà, la sofferenza, i cristiani vivono anche la loro vita normale, per quello che è possibile, e soprattutto la loro vita cristiana, compiendo i loro doveri religiosi, mandando i bambini all’oratorio, al catechismo e alle varie attività. E’ una grande consolazione, veramente, e una cosa che commuove: vivono in pace tra tutte le altre comunità nel territorio siriano; vivono con i musulmani di tutte le denominazioni e con altri. Loro quindi possono giocare un ruolo per avvicinare tutte le altre comunità e non solo: essere un mezzo di pace, di pacificazione e di conciliazione.








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