2015-07-22 17:01:00

Libia e il mancato aiuto europeo alla transizione


"Abbiamo voluto aiutare la primavera libica abbattendo il dittatore, commettendo però il grave errore di non accompagnare il dopo Gheddafi", lapidario il medico Agostino Miozzo, profondo conoscitore della Libia, volontario di Emergency. "L’Ue avrebbe dovuto fare molto di più - ribadisce - perché non è un paese singolo che può affrontare una crisi drammatica come questa, è una comunità di Stati che deve farlo". E ricorda quando si trovava a Bangasi e i jet francesi cominciarono a sparare a 120 km a sud della città: "Allora ho visto sventolare le bandiere Nato in un paese arabo, non le ho mai viste nella mia vita in un paese arabo! Abbiamo perso una grande occasione venendo meno alla riorganizzazione di quel territorio. E, si badi bene, loro non chiedevano la carità, erano consapevoli di essere un paese ricco. Chiedevano di essere aiutati a diventare un paese normale". 

Mentre a Malta, proprio nell'ambito di conversazioni politiche su Libia e migrazioni, il presidente Mattarella dichiara che “aiutare i paesi di origine è la risposta più intelligente”, Miozzo sottoscrive come sacrosanta questa via, sollecitando però che "il vero problema è rendere questo aiuto tempestivo, praticabile ed efficace". Sottolinea il lavoro di Emergency che sta cercando di portare aiuto in condizioni difficilissime e avverte: "Non dobbiamo creare un’altra Somalia nel Mediterraneo, antesignana delle primavere arabe ma poi abbandonata, come sta accadendo in Libia, dove c'è una frantumazione della popolazione in fazioni e conflitti di decine di tribù che vogliono approfittare del momento per non perdere un potere di posizione. Dall’altra parte c’è un popolo stremato che ripete ‘si stava meglio quando si stava peggio’. E lo dicono le stesse persone che furono perseguitate da Gheddafi. C'è una forte crisi alimentare, dobbiamo mandare farmaci, se non lo facciamo noi lo farà qualcun altro che, volendo colmare un vuoto, lo farà senza le nostre aspirazioni democratiche". 

Mattia Toaldo, analista al Consiglio europeo delle Relazioni internazionali ed esperto di Libia, precisa la misura del pericolo dello jahidismo libico, la sua genesi e le peculliarità: "I libici non parlano di Is ma di 'Organizzazione dello Stato' e ciò già spiega i motivi di fascino che esso ha per la Libia. Rappresenta per loro una struttura organizzata e vuole costruire uno Stato, per quanto molto lontano dai nostri modelli. Lo Stato islamico è arrivato più o meno un anno fa, quando alcuni libici che avevano combattuto in Siria hanno deciso di tornare in Libia dove hanno fondato il primo embrione che ora conta diverse migliaia di combattenti e si spinge fino alla Tunisia, con una vasta schiera di simpatizzanti, tra cui persone che avevano combattutto al fianco del regime di Gheddafi e che erano state emarginate con il rovesciamento del dittatore. Nell'Is essi trovano l’unica opportunità per ritornare sulla scena". 

Toaldo fa il punto sui negoziati di pace e i limiti dell'ultimo accordo firmato il 12 luglio e spiega la fonte delle armi a disposizione della Libia, che ne è ricchissima: "Talvolta si tratta anche di armi italiane, ancora utilizzate in Libia, impiegate all'epoca per combattere i gruppi armati, in seguito catturate dagli stessi gruppi e usate per l’uso opposto a quello originario. Il resto arriva da Egitto, Emirati Arabi, Turchia e Qatar. Inoltre ci sono i contrabbandieri di alcuni paesi europei, inclusa l'Ucraina, che pescano nei loro arsenali rivendendo le munizioni in Libia". A proposito di flussi migratori verso l'Europa e delle tensioni alle frontiere con la Tunisia, Toaldo precisa che i confini sono molto porosi e le comunità di confine vivono di traffici leciti o illeciti con coloro che stanno dall’altra parte. "E' proprio questo il limite delle politiche di contrasto all’immigrazione illegale in Libia che si concentrano sempre su una risposta securitaria senza offrire alle comunità che vivono di questi traffici una vera alternativa perché cessino definitivamente".








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