2015-07-21 08:08:00

Usa-Cuba: storica riapertura delle ambasciate


Storica giornata ieri per Stati Uniti e Cuba. Riaperte le ambasciate a Washington e all’Avana dopo oltre 50 anni.

 

Sono state, dunque, ufficialmente riaperte le ambasciate di Stati Uniti e Cuba a L’Avana e a Washington, dopo l’interruzione delle relazioni diplomatiche avvenuta nel 1961. In una cerimonia nella capitale statunitense il segretario di Stato americano, John Kerry, e il ministro degli Esteri cubano, Bruno Rodriguez, hanno sancito la fine del lungo periodo di rottura dei rapporti. Il servizio di Giancarlo La Vella:

Era il 1961, quando l’isola caraibica, appena trasformata dalla rivoluzione castrista, si trovò ad essere compressa dagli opposti interessi di Stati Uniti e Unione Sovietica, allora in piena guerra fredda. Grazie al messaggio di Giovanni XXIII fu evitato un conflitto, che avrebbe avuto conseguenze disastrose per l’intero pianeta, ma per l’Avana cominciò un periodo di duro isolamento dall’occidente. Alla luce di questo, la stretta di mano tra Kerry e Rodriguez ha un significato ben più importante della mera ripresa del dialogo diplomatico. Con un gesto due mondi profondamente distanti economicamente, politicamente, socialmente, riprendono un dialogo che ci si augura proficuo in particolare per i progressi che l’isola caraibica potrebbe fare soprattutto nel campo della tutela dei diritti umani. “Un giorno storico per rimuovere le barriere”. Così il segretario di Stato americano Kerry ha salutato la ripresa dei rapporti diplomatici fra i due Paesi. Il 14 agosto sarà lui ad andare all'Avana, primo capo della diplomazia statunitense a visitare l'isola caraibica dal 1945.

Sull’importanza della riapertura delle ambasciate statunitense e cubana, ascoltiamo Massimo De Leonardis, docente di Storia delle Relazioni Internazionali all’Università Cattolica di Milano, intervistato da Giada Aquilino:

R. – La diplomazia, intesa come arte di condurre la politica internazionale, è evidentemente un riflesso della politica estera. Se migliorano i rapporti di politica estera tra due Paesi, è ovvio che si debbano riprendere anche le relazioni diplomatiche. Direi che dal punto di vista formale è la prima misura da prendere, uno dei primi segni formali di miglioramento dei rapporti. Invece la rottura delle relazioni è una misura che andrebbe presa con estrema cautela.

D. – In questi ultimi anni come sono cambiati i rapporti tra Stati Uniti e Cuba?

R. – Credo che da entrambe le parti ci siano state delle evoluzioni. Come ha ammesso Obama, la politica di chiusura con le sanzioni non è servita a molto. Dall’altra parte, certamente il mutamento non è rilevante ma il passaggio del comando da Fidel Castro al fratello Raúl segna una timida apertura, un minimo di liberalizzazione dal punto di vista economico, mentre è tutta da vedere ancora la questione dei diritti umani. La grossa domanda, insomma, è cosa succederà nel ‘dopo’ Raúl Castro.

D. – Si tratta di relazioni piene o manca ancora qualcosa? Ad esempio la revoca dell’embargo statunitense a Cuba…

R. – Le relazioni diplomatiche, da un punto di vista formale, sono relazioni piene e qui siamo sul piano della ‘tecnica dei rapporti’, dal punto di vista del diritto internazionale. Dal punto di vista più strettamente politico, certo, manca la revoca dell’embargo, ma questo è un altro campo. Facciamo l’esempio della Russia: tra la Russia e gli Stati Uniti le relazioni diplomatiche non sono mai state interrotte, ma in questo momento Mosca è sottoposta a pesanti sanzioni. Quindi sono due aspetti, due piani diversi. Direi che la ripresa delle relazioni diplomatiche è il minimo, dal punto di vista formale, per segnalare la normalità di una situazione.

D. – Tra l’altro è necessario il voto del Congresso per togliere l’embargo imposto nel 1962…

R. – Esatto, mentre invece questo non è necessario per la ripresa delle relazioni diplomatiche. Penso che, per la questione dell’embargo, bisognerà aspettare la ripresa dei lavori congressuali in autunno e ci dovrà essere qualche segnale ulteriore nei campi economico e dei diritti umani a Cuba. E naturalmente questa questione rientrerà nel pacchetto di misure di politica estera che Obama ha preso: la più importante è la normalizzazione dei rapporti con l’Iran; ma sembra che la maggioranza del Congresso sia quantomeno perplessa.

D. – Nel viaggio di ritorno dall’America Latina, parlando delle relazioni tra Stati Uniti e Cuba, Papa Francesco ha detto che entrambi i Paesi nel negoziato “perderanno qualcosa e guadagneranno qualcosa”, sicuramente “in pace e amicizia”. Cosa ne pensa?

R. – In un negoziato certamente bisogna sempre raggiungere un punto di compromesso. In questo caso, ritengo che dal punto di vista americano la concessione sarà la rinuncia a un puntiglio, a una chiusura formale molto dura nei confronti di Cuba. Ma certamente le concessioni sostanziali nel lungo periodo dovrà farle Cuba, perché dovrà aprirsi a una prospettiva di liberalizzazione.

D. – E il ruolo della Chiesa in questo ravvicinamento qual è stato? Il Papa ha detto: “noi non abbiamo fatto quasi nulla, solo piccole cose”…

R. – Questo lo potranno dire gli storici del domani, ma oltre al ruolo della Santa Sede, bisogna pensare anche al ruolo della Chiesa a Cuba, che certamente ha favorito questa apertura. E poi non dimentichiamo che ben due Pontefici prima di Papa Francesco, che la visterà prossimamente, erano già stati a Cuba.








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