2015-07-21 13:15:00

Anagrafe, cambio sesso. Belletti: legge non può cambiare natura


Fa discutere la sentenza della Corte di Cassazione che ieri ha accolto il ricorso, presentato da una rete per i diritti Lgbt, persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender. In sostanza, la sentenza dà il via libera al cambio di sesso all’anagrafe pur senza aver subito un’operazione chirurgica. La vicenda nasce dalla rinuncia all’intervento da parte di un trans di 45 anni che aveva comunque ottenuto l’autorizzazione all’operazione per modificare i propri organi genitali. Una rinuncia legata al fatto che le cure gli avevano donato un equilibrio psicofisico e che, da almeno 25 anni, è riconosciuta socialmente come donna. In precedenza, il tribunale di Piacenza e la Corte d’appello di Bologna avevano però respinto la sua richiesta. Sulla vicenda, Benedetta Capelli ha raccolto il commento del presidente del Forum delle Associazioni familiari, Francesco Belletti:

R. – Al di là del merito giuridico, delle “technicalities”, delle cose più precise che i giuristi possono poi spiegare, a me pare sia veramente impressionante questo costante distanziamento della dimensione naturale da quello che è il diritto. E’ come se la legge stesse sistemando regole che non hanno a che fare con la natura delle cose, con la concreta realtà. Si dice che un cambiamento di sesso è attivo anche se non avviene, quindi si restituisce un soggettivismo estremo – io decido qual è il mio sesso di appartenenza – che mi sembra proprio andare a scontrarsi con la natura delle cose. C’è, quindi, un nodo veramente impressionante. E’ solo uno dei tanti interventi della Cassazione che descrive questa logica, dove il diritto non fa i conti con la natura.

D. – Quali scenari allora si potrebbero aprire e quali soprattutto i criteri utili, diciamo la bussola da seguire, per indicare un cambio di condizione interna?

R. – Io credo ci sia da custodire in fondo un valore che nella storia è sempre stato abbastanza forte: le società si costruiscono attorno a una buona regolazione delle due differenze radicali dell’umano, cioè il maschile e il femminile, che sono coloro che generano la vita, e poi appunto la questione dei figli. Nessuna società vive se non regola in modo equilibrato i rapporti sessuali e la responsabilità di chi genera la vita delle nuove generazioni. La società altrimenti si sfascia, in un certo senso. Invece, la società contemporanea sta costruendo un sistema per cui l’accesso alla sessualità, la stessa identità sessuale, diventa una delle tante possibili azioni dell’individuo. Non c’è più quindi un legame sociale neanche sull’identità sessuale, cioè non si è legati agli altri: decido come mi pare, alla fine. E’ detto un po’ brutalmente, perché dentro ci sono anche tante sofferenze, tante persone che attraversano grandi domande sull’incertezza sessuale. E’, però, il triste frutto di una società che sta pensando di cancellare qualunque limite. E’ proprio la società “no limits”.

D. – In questo contesto, però, spesso si nega anche la cosiddetta questione del gender…

R. – Credo che attorno alla questione “gender” si discuta proprio esattamente di questo tema. Il maschile e il femminile sono principi di differenza regolativi dell’umano. Se li abbandoniamo, se immaginiamo che si possa pendolare da uno all’altro oppure che sia semplicemente una questione di scelta personale, rischiamo davvero di perdere il fondamento della verità dell’uomo e dell’identità. Il gender è questo in sostanza: la possibilità che la differenza sessuale non faccia differenza. Questo è lo slogan che io mi permetterei di suggerire: maschile e femminile radicano l’identità della persona. Buttarli via, quindi, pensando che tutto sia indifferente, sarebbe molto grave.

D. – Quello che stiamo notando è che la politica sembra fare un passo indietro rispetto a sentenze che fanno legislatura. L’ultima, per esempio, in ordine di tempo, è il pronunciamento della Corte dei Diritti umani di Strasburgo, che condanna l’Italia per quanto riguarda le unioni omosessuali. Cosa sta accadendo alla politica in questo senso?

R. – La politica sembra che abbia paura della diversità. E’ una sorta di paradosso, per cui all’interno di una tradizione europea, che è quella del proteggere le situazioni di minoranza, del garantire a tutti un pieno diritto, un diritto umano – i diritti delle persone – adesso ci si sta trincerando dietro a un pensiero unico, per cui ogni particolare pretende di essere l’universale. Il paradosso, quindi, è proprio questo: quello di ritrovarsi con una scelta giuridica che dice che a questo punto non c’è più un’identità di fondo, un riferimento valido per tutti, ma qualunque cosa diventa da legittimare. Purtroppo, si fa per via giudiziaria. Il problema è che sulla politica i cittadini, le persone, i popoli hanno potere di influenza per quanto limitato. Questi aspetti invece di natura tecnico-giurisprudenziale sembra siano leggi assolute e quindi condizionano il pensiero delle persone. C’è un grande progetto di condizionamento della libertà delle persone intorno a questo tema.








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