2015-07-20 14:54:00

Egitto. Sinai "caldo", l'Is punta al controllo dell'area


Le ultime violenze registrate ieri nel Sinai – quasi una sessantina di morti tra le fila dei militanti dell’Is dopo un attacco dell’esercito regolare – tengono in costante apprensione l’Egitto, impegnato da due anni a fronteggiare i tentativi di espansione dei jihadisti nell’area. Emanuela Campanile ne ha parlato con Stefano Torelli, esperto dell’area del Mediterraneo e di Medio Oriente dell’Ispi, Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi):

R. – Isis e movimenti jihadisti affiliati all’Isis stanno in realtà dimostrando di volere attuare una vera e propria escalation soprattutto in Egitto. Dall’estate del 2013, con la repressione che il nuovo governo ha attuato, e sta attuando, contro la Fratellanza musulmana – e in realtà anche contro le altre opposizioni, altre forme di dissenso – si è creata una situazione di scontro interno molto forte. In questo contesto, sono emerse forze jihadiste legate allo Stato islamico e questo complica un po’ il quadro, perché l’emergere del terrorismo in Egitto, come non era dall’inizio degli anni Novanta, rischia comunque di destabilizzare questa situazione che con al Sisi in parte si è stabilizzata anche se a duro pezzo, cioè con la repressione  sostanziale  di tutte le forme di opposizione. Quindi, questa a mio avviso è una politica molto rischiosa da parte del governo egiziano.

D. – Che cosa succederebbe se l’Egitto venisse completamente piegato?

R. – Sicuramente, un elemento che favorisce l’emergere del califfato è la politica che al Sisi sta seguendo nei confronti di quell’ala islamica moderata rappresentata dalla Fratellanza musulmana e fino a prova contraria non ci sono evidenze che sia collegata alle forze jihadiste. Cosa succede? Da un lato, la Fratellanza musulmana repressa o alcuni movimenti di questa potrebbero – e in parte probabilmente stanno già –radicalizzarsi sempre di più e sposare in parte, magari anche soltanto per ragioni tattiche, se vogliamo, la causa dello Stato islamico. D’altro canto, le azioni dello Stato islamico in Egitto permettono ad al Sisi di continuare la repressione anche contro la Fratellanza musulmana accusandola di essere collusa o connivente con il jihadismo. Questa è una situazione esplosiva sostanzialmente. L’unica strada che penso si possa perseguire è quella di un dialogo, di una riappacificazione con quegli elementi moderati della Fratellanza musulmana per far sì che questa parte di espressione politica egiziana – che comunque è notevole dal punto di vista numerico – non cada completamente nelle mani dell’Isis, ma possa essere coinvolta nuovamente in un processo politico inclusivo, che sia teso a evitare che queste forme di radicalismo possano crescere sempre di più.

D. – Si può parlare di una corsa contro il tempo?

R. – Sì, perché stiamo vedendo che con il passare dei mesi la situazione sembra peggiorare dal punto di vista della sicurezza. Quindi, probabilmente un approccio soltanto basato sulla risposta militare e sulla repressione del dissenso evidentemente non può bastare, non è sufficiente per sconfiggere le cause profonde del terrorismo in Egitto.








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