2015-07-16 16:32:00

Bioetica, legare al letto i malati: pratica da abolire


Pratica condannata ma ancora diffusa

La "contenzione" meccanica, cioè la pratica di legare al letto un paziente psichiatrico, nei luoghi che dovrebbero essere di cura, è un fenomeno ancora estremamente diffuso, nonostante la legge 180, nei servizi ospedalieri italiani. Recentemente, un parere del Comitato nazionale per la bioetica (Cnb) ha affermato che la contenzione rappresenta in sé una violazione dei diritti fondamentali della persona".

Come una tortura

"Eppure - spiega Giovanna Del Giudice, medico psichiatra - si tratta di un trattamento inumano e degradante assimilabile alla tortura. Com'è possibile pensare che dei medici e del personale sanitario possano utilizzare ancora oggi, nei confronti di una persona in difficoltà, questo trattamento?". "Noi psichiatri - afferma la Del Giudice - ci confrontiamo con persone deboli, fragili che hanno bisogno di ascolto vicinanza e accoglienza, di un atteggiamento di comprensione rispetto alle loro paure che possono fargli anche assumere atteggiamenti violenti". "Si ricorre alla contenzione perché si è ancora all'interno di un paradigma che considera l'altro, la persona con sofferenza e disturbo mentale, pericolosa per sé e per gli altri". "I medici dicono che si lega per fare il bene del paziente, ma io non ho mai visto una persona in crisi che non riconoscesse un'atteggiamento di vicinanza". 

Abolirla si può

"Ma la contenzione si può abolire - spiega ancora la Del Giudice, autrice del libro "...e tu slegalo subito. Sulla contenzione in psichiatria", - perché il 20% delle strutture ospedaliere italiane ne fa a meno. Basta cambiare le culture attorno alla malattia mentale e organizzare servizi adeguati. Servono dipartimenti di salute mentale forti capaci di farsi carico delle persone e dei loro familiari. Serve formare operatori capaci di confrontarsi con la sofferenza degli altri senza rigettarla e di supportare le persone malate senza mai violentarle, ma anzi avendo verso di loro un'umana pietà. certamente legare le persone non è né umano né pietoso". 

La storia di Francesco Mastrogiovanni

"Nel 2009, quando mio zio è morto, ho intrapreso una battaglia affinché nessun altro si debba più trovare nella mia situazione. Avrei avuto il diritto di entrare nell'istituto di Vallo della Lucania (Sa) dove era rinchiuso e legato al letto senza cure, ma non lo sapevo". A raccontarlo è Grazia Serra, giornalista e nipote di Francesco Mastrogiovanni, morto nell'agosto del 2009 dopo essere stato messo in contenzione meccanica per più di 90 ore senza acqua, né cure, per un Tso (Trattamento sanitario obbligatorio). "Creando un comitato per dare giustzia a mio zio e raccogliendo tante testimonianze - spiega - ho scoperto anche che chi subisce la contenzione meccanica non lo racconta, per vergogna o per dimenticare, e spesso nelle cartelle cliniche non viene annotata. Per fortuna però negli ultimi 6 anni qualcosa si è mosso e dalla denuncia si è passati all'azione. Oggi si può affermare che la contenzione è illecita ed esistono strade giuridiche per abolirla".








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