2015-07-14 17:18:00

Al Senato il ddl pensioni. I sindacati: testo da migliorare


Prosegue al Senato l'esame del decreto pensioni già approvato dalla Camera. Il testo, che dovrà essere votato entro il 20 luglio, ripristina l’indicizzazione sulle pensioni di importo superiore a tre volte il minimo per il 2012- 2013, dopo che la Consulta ha dichiarato illegittimo lo stop stabilito dalla legge Fornero. Il primo agosto ai pensionati verrà erogata la quota “una tantum” dei 500 euro, nei mesi successivi gli assegni subiranno un incremento progressivo. Forte la richiesta da parte dei sindacati di correzioni al decreto. Miglioramenti possibili?  Adriana Masotti lo ha chiesto all'ex ministro del Lavoro ed esperto di pensioni, Tiziano Treu:

R. – Innanzitutto la Corte con la sua decisione, che affrontava un problema vero - quello delle pensioni basse che vanno tutelate – però, avendo dato questa decisione con effetti retroattivi, ha creato un problema di finanza pubblica molto grave. Quindi, si può sì migliorare, ma sapendo che se si mettono più soldi da una parte, si tolgono da qualche altra parte, perché la coperta è stretta. Io l'ho detto all’inizio che qui si tratta di vedere quali sono i bisogni più urgenti. In questo caso è stato fatto un provvedimento minimo, proprio per quelle persone più povere, però io non credo che si potranno mettere più risorse. Quindi migliorare in questo senso mi sembra difficile, anche perché penso che se ci fossero un po’ di risorse in più, sarebbe bene darle ai giovani piuttosto che ai pensionati, con tutto il rispetto per i pensionati....

D. – I sindacati si sono mobilitati per chiedere una riforma più complessiva della legge Fornero: in particolare chiedono di introdurre maggiore flessibilità in uscita, e giovedì ci sarà l’incontro con il ministro Poletti. Che spazi ci sono per un cambiamento?

R. – Qui, in particolare per la flessibilità in uscita, penso che si debba fare qualcosa di più. Bisogna, ovviamente, calcolare sempre quanto costa: non c’è dubbio che è giusta la tendenza ad alzare l’età, però è stato fatto un provvedimento troppo brusco. Come vede anche la Grecia adess, le si chiede di portare a 67 anni l’età pensionabile, come a noi, però le si danno 6 anni di tempo. Da noi c’è stato un innalzamento molto brusco, e quindi occorre in qualche modo provvedere. Vediamo come perché, in primo luogo, dipende da quanti anni di anticipo si immaginano – due o tre – e, in secondo luogo, da quanto si riduce la pensione a chi anticipa, perché comunque la flessibilità comporta dei costi… Il problema è quanti sono: perché se costa tutto per i dipendenti, come l’opzione donna, allora sono pochi quelli che se lo possono permettere; se invece si vuole essere più leggeri, costa molto per lo Stato. Come ripartire i costi sarà anche qui una scelta molto delicata. L’importante è che i sindacati si esprimano e cerchino di ottenere con il governo un quadro il più possibile concordato, perché si tratta di milioni di persone.

D. – L’Italia di oggi può permettersi di rimettere mano a tutta la materia delle pensioni?

R. – Non direi assolutamente. Stiamo parlando di un' anticipazione, e quindi di una forma di flessibilità, e non troppo costosa. Quindi non deve essere una rimessa in discussione della legge, dell’impianto, questo sarebbe inaccettabile per noi, oltre che per l’Europa. Come ho detto si tratta di smussare un po’ la parte ultima dell’uscita. Anzi una possibilità che pure è in discussione è di fare qualche uscita graduale con il part-time: cioè negli ultimi due - tre anni, invece di dire “o dentro o fuori”, fare un passaggio a part-time, che significa minori costi e la possibilità di fare la staffetta con i giovani. Un anziano va a part-time e viene assunto un giovane pure a part-time: questa è una forma morbida, che non mette in discussione l’impianto, che esiste anche in molti paesi e che dà un segnale anche ai giovani. 








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