I cristiani non sono testimoni di una ideologia, ma della misericordia di Gesù che li rende capaci di avvicinarsi al dolore della gente: è quanto ha detto Papa Francesco incontrando, in una scuola salesiana a Santa Cruz, sacerdoti, religiosi e seminaristi, nella seconda giornata del suo viaggio in Bolivia. Ce ne parla Sergio Centofanti:
Le testimonianze dei consacrati
Quattro testimonianze aprono l’incontro con il Papa:
mons. Roberto Bordi, vescovo incaricato della vita consacrata in Bolivia, ricorda
che quanti sono chiamati ad annunciare il Vangelo sono i primi che hanno bisogno di
essere costantemente evangelizzati. Solo chi si lascia sempre convertire da Dio può
contagiare gli altri con la gioia della buona novella. Il presule elenca le sfide
della Chiesa in Bolivia: il secolarismo che avanza, la crisi della famiglia, la corruzione,
il narcotraffico, la povertà, le contrapposizioni politiche e ideologiche. Ma tutto
nella consapevolezza che il bene è più potente del male perché produce la vita vera. Un sacerdote di Cochabamba ricorda le sue origini contadine.
Ha ascoltato la voce di Dio è ha lasciato tutto. Sottolinea l’importanza della vita
comunitaria per vivere la fede. Suor Gabriella
parla del suo incontro con il Cristo vivo nella preghiera, nell’Eucaristia nell’ascolto
della Parola di Dio e nel suo lavoro nel campo dell’educazione. Oggi – afferma – abbiamo
sempre più bisogno di diffondere la speranza in un mondo sempre più triste. Infine, un seminarista, figlio di un minatore, parla della
sua vocazione, nata grazie alla madre che gli ha insegnato a non dimenticare mai di
pregare.
I cristiani indifferenti di fronte al dolore dell'altro
Papa Francesco ascolta con attenzione, ringrazia,
abbraccia. Poi svolge la sua meditazione a partire dal Vangelo in cui Bartimèo, cieco
e mendicante, si accorge che sta passando Gesù e grida. Il Papa elenca tre reazioni
dei seguaci di Gesù davanti al dolore dell’uomo. Innanzitutto c’è chi passa accanto
ma resta nell’indifferenza, non si lascia toccare, si è abituato all’ingiustizia.
Ha “un cuore blindato, chiuso, ha perso la capacità di stupirsi e quindi la possibilità
di cambiare. Quante persone che seguono Gesù corrono questo pericolo!”. Si crede di
seguire Gesù ma senza lasciarsi coinvolgere dal fratello che soffre. E la vita diventa
arida. Francesco la definisce “spiritualità dello zapping”: sono quelli che “vanno
dietro all’ultima novità, all’ultimo best seller, ma non riescono ad avere un contatto,
a relazionarsi, a farsi coinvolgere”.
I cristiani che fanno dell'identità una questione di superiorità
Il secondo atteggiamento davanti al grido di Bartimeo
– dice il Papa – è quello di chi gli ordina di stare zitto, di non disturbare. Sono
quelli che rimproverano sempre: “Sono i vescovi, i sacerdoti, le suore, il Papa …
con il dito così”. “È l'atteggiamento di coloro che di fronte al popolo di Dio, stanno
continuamente a rimproverarlo, a brontolare, a dirgli di tacere. Dategli una carezza
per favore, ascoltatelo, ditegli che Gesù gli vuole bene … ‘Ma non si può fare, signora,
cos'ha questo bambino che piange mentre io predico?’. Come se il pianto di un bambino
non fosse una sublime predica!”. “È il dramma della coscienza isolata, di coloro che
pensano che la vita di Gesù è solo per quelli che si credono adatti, ma in fondo hanno
un profondo disprezzo per il popolo fedele di Dio”. “Sembrerebbe giusto che trovino
spazio solo gli ‘autorizzati’, una ‘casta di diversi’ che lentamente si separa, differenziandosi
dal suo popolo. Hanno fatto dell’identità una questione di superiorità”: “non sono
più pastori, ma sono capitani” che sempre pongono “barriere al popolo di Dio”. E questo
atteggiamento “li ha allontanati, non solo dal grido della loro gente, o dal loro
pianto, ma soprattutto dai motivi di gioia. Ridere con chi ride, piangere con chi
piange, ecco una parte del mistero del cuore sacerdotale e del cuore consacrato”.
Non avere paura di lasciarsi coinvolgere dal dolore della gente
Infine – afferma Papa Francesco – c’è chi fa come
Gesù che “si ferma di fronte al grido di una persona e si impegna con lui. Mette radici
nella sua vita. E invece di farlo tacere, gli chiede: Che cosa posso fare per te?”.
“Non esiste una compassione, una compassione, che non si fermi, se non ti fermi non
hai la divina compassione, non ascolti e non solidarizzi con l’altro”. “La compassione
non è zapping, non è silenziare il dolore, al contrario, è la logica propria dell’amore.
È la logica che non si è centrata sulla paura, ma sulla libertà che nasce dall'amore
e mette il bene dell’altro sopra ogni cosa. È la logica che nasce dal non avere paura
di avvicinarsi al dolore della nostra gente. Anche se molte volte non sarà che per
stare al loro fianco e fare di quel momento un’occasione di preghiera”.
Siamo testimoni della misericordia di Gesù, non di una ideologia
Noi – conclude il Papa – “non siamo testimoni di
un’ideologia, di una ricetta, di un modo di fare teologia”, “non siamo “funzionari
di Dio”, “siamo testimoni dell’amore risanante e misericordioso di Gesù”, “non perché
siamo speciali, non perché siamo migliori” ma “perché siamo testimoni grati della
misericordia che ci trasforma”.
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