2015-07-10 13:22:00

Ebola: conferenza Onu per finanziamenti a Paesi colpiti


Mobilitare 3,2 miliardi di dollari per ricostruire i servizi di base, soprattutto sanitari, in Liberia, Sierra Leone e Guinea, i Paesi più colpiti dall’ebola. Questo l’obiettivo della Conferenza internazionale che si tiene oggi all’Onu di New York per fare il punto sugli aiuti finanziari destinati a favorire la ripresa dei tre Stati dell’Africa occidentale, falcidiati dal virus che, dal dicembre 2013, ha causato oltre 11 mila vittime, tra cui oltre 500 operatori sanitari. Un rapporto della Banca Mondiale ha lanciato l’allarme per più di 4 mila donne che in quelle zone potrebbero morire a causa delle complicazioni del parto: secondo lo studio, la perdita di medici e infermieri uccisi dal virus sarà infatti causa di aumento della mortalità materna. Nelle ultime settimane si sono poi registrati nuovi casi in Liberia, che aveva dichiarato finita l’emergenza all’inizio di maggio. Anche Sierra Leone e Guinea lottano ancora contro l’epidemia. Lo testimonia padre Maurizio Boa della congregazione dei Giuseppini del Murialdo a Freetown, intervistato da Giada Aquilino:

R. – Una quindicina di giorni fa, una donna che doveva partorire era affetta da ebola e nessuno se ne era accorto: tre dottori e 28 infermieri sono andati diretti in quarantena. Quello è stato un momento molto difficile. Ogni giorno ci sono almeno un caso o due nei distretti di Port Loko e Kambia. Per due o tre giorni capita magari che non ci siano casi - ‘ebola zero’ - ma poi ricompaiano. Ebola non è sconfitta, tuttavia la vita è abbastanza normale qui adesso: le scuole funzionano, il governo ha decretato il coprifuoco e lo ha allungato dalle 18.00 alle 21.00. Quindi vuol dire che c’è una buona speranza di riuscire a sconfiggere questa epidemia.

D. – Ebola ha contagiato o ucciso molti operatori sanitari. Secondo un rapporto della Banca Mondiale, proprio a causa della morte di molti medici e infermieri, in Sierra Leone la mortalità materna potrebbe aumentare del 74%…

R. – Purtroppo sì, è quello a cui assistiamo adesso. Proprio per questo, la settimana scorsa abbiamo aperto un ospedale pediatrico con un reparto maternità, a Waterloo Camp, dove per ebola sono morte 280 persone. Vogliamo riuscire, infatti, a risolvere questa situazione sanitaria che è disastrosa, soprattutto adesso: molti dottori sono morti; molti infermieri sono morti; manca tutto. Parecchie ong si stanno dando da fare per gli orfani di ebola e per i sopravvissuti, che sono un numero considerevole. Anche noi, come Giuseppini del Murialdo, ci stiamo muovendo nella zona di Lunsar, nella zona di Mabessene e poi sempre nel Waterloo Camp, che ora si chiama Kissi Town, dove c’è la chiesa e faccio il mio apostolato.

D. – Cos’è il Waterloo Camp?

R. – Era un campo di aviazione militare durante l’ultima guerra mondiale. Adesso è diviso in vari villaggi e ci sono circa 64 mila persone. Ha l’aspetto di un campo profughi.

D. – Quali sono le emergenze adesso nel Campo?

R. – E’ strano, ma serve lo zinco, per coprire le case: sta infatti piovendo e molte case sono senza copertura. Poi il cibo e le ‘school fees’, cioè le tasse scolastiche per i ragazzi che vengono mandati a scuola. Inoltre, assieme ad un gruppo che si chiama ‘Pado - Peace and Development Organization’, stiamo monitorando una situazione allarmante: sembra che più del 70 - 75% delle ragazzine al di sotto dei 18 anni sia incinta. E anche questo è dovuto alla povertà, alla cultura, a tante cose. Stiamo cercando di sviluppare un progetto al riguardo.

D. – In cosa consiste questo progetto?

R. – Lo stiamo studiando adesso: vorremmo tra l’altro creare dei punti, degli asili nido, dove queste ragazze che partoriscono possano portare i bambini e continuare poi ad andare a scuola. Vogliamo riuscire a fare qualcosa di buono, davvero.

D. – C’è un caso in questi mesi di emergenza che l’ha colpita particolarmente?

R. – Il 21 settembre dello scorso anno ho realmente “scoperto” ebola. Mi hanno chiamato i capi del Campo per farmi vedere come la gente stesse gettando fuori dalle case, in strada, i corpi dei morti. Sono rimasto molto colpito da questo fatto. Non c’erano ambulanze per loro e una ragazzina mi ha detto: “Se uno di noi prende l’ebola, non c’è nemmeno un letto dove stare”. Comunque, devo dire che questa emergenza ha anche suscitato tanta carità, una corsa di sensibilizzazione, di aiuto e questo è stato molto positivo per la nazione.

D. – L’Onu tenta di raccogliere ulteriori fondi per una fase iniziale di ripresa in due anni. Che speranze ci sono per la Sierra Leone, come per la Liberia e la Guinea?

R. – Quando qui è scoppiata ebola abbiamo visto arrivare macchine, soldi, medicine, ma non abbiamo visto risultati adeguati. Credo che l’Onu - e non devo dirlo io - debba fare attenzione alla corruzione: che questi soldi vadano veramente ai poveri e a quelli che ne hanno bisogno, in modo da ricostruire la loro vita. Da dove cominciare? Io penso dalla sanità e dalla scuola.








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