2015-07-07 13:43:00

Al-Shabaab attacca in Kenya: uccisi 14 minatori a Mandera


Le milizie islamiste di Al-Shabaab hanno attaccato questa notte un villaggio nel Nord-Est del Kenya, vicino Mandera, uccidendo almeno 14 minatori. “Il loro obiettivo è di liberare il Nord-Est del Paese dai non musulmani e dai non somali”, ha commentato all’Agenzia Fides, mons. Joseph Alessandro, vescovo coadiutore di Garissa. Non è la prima volta che il gruppo terroristico, originario della Somalia, sconfina in Kenya, come spiega Nicola Pedde, direttore dell’Institute of Global Studies di Roma, al microfono di Michele Raviart:

R. – Non si tratta tanto di sconfinamento quanto di operazioni che vengono gestite da alcune cellule che sono residenti sul territorio del Kenya. Il Kenya viene individuato oggi come una delle principali fonti di opposizione al movimento, proprio perché è stato l’intervento del Kenya quello che ha fatto venire meno la capacità dell’Al-Shabaab di generare la gran parte dei propri redditi nella Somalia meridionale, costringendola a una ridefinizione delle attività soprattutto nelle aree rurali, che ha consistito in un lungo periodo di tempo nel saccheggio e nel cercare di inglobare all’interno del territorio sotto il suo controllo una serie di villaggi più o meno riluttanti.

D. – In questi giorni Al-Shabaab ha conquistato un villaggio a 90 chilometri da Mogadiscio. Qual è lo stato di salute dell’organizzazione?

R. - Al-Shabaab è in uno stato di salute di fatto precario, al di là della capacità di condurre attentati di una certa rilevanza dal punto di vista delle perdite umane o comunque sia dell’impatto sul sistema della sicurezza. Si tratta di una struttura che sta cercando di riconquistare spazi: non credo che ci siano grandi capacità di poterlo fare nella Somalia centrale. Il vero obiettivo, in questo momento, è cercare di consolidare – a cavallo tra il territorio del Kenya e della Somalia meridionale – una certa sfera di controllo, soprattutto all’interno di una serie di villaggi che presentano condizioni ottimali per Al-Shabaab per quanto riguarda la logistica, per il reclutamento anche all’interno dei campi profughi di nuovi combattenti e soprattutto per cercare di drenare denaro all’interno delle casse, perché questo è il principale problema poi dell’Al-Shabaab oggi.

D. – Quali sono i rapporti di Al-Shabaab con gli altri gruppi del terrorismo islamico?

R. - Al-Shabaab è proprio un caso a se stante: ha cercato - soprattutto nella fase in cui c’è stato Godane al comando dell’organizzazione - un’affiliazione internazionale che era stata sistematicamente negata soprattutto da Al-Qaeda. L’analisi dei carteggi trovati nei computer di Bin Laden ha dimostrato quanto Al-Qaeda fosse non solo ostile alla figura di Godane in sé, ma anche a qualsiasi ipotesi di affiliazione di Al-Shabaab all’interno della reta qaedista, proprio perché riteneva i metodi di Godane e comunque del suo stato maggiore antitetici rispetto a quelle che sono le prerogative del sistema qaedista: quindi della conquista del territorio attraverso l’inserimento di una dinamica sociale nella politica attiva. Godane veniva sostanzialmente considerato un tagliagole. E’ Al-Zawahiri, che più che per disperazione che non per effettiva capacità di consolidare il gruppo ha dato questa patente qaedista ad Al-Qaeda. Ma i rapporti tra Al-Qaeda e Al-Shabaab sono sempre stati squisitamente epistolari.

D. – Ci sono collegamenti con il sedicente Stato Islamico?

R. – Lo Stato islamico è un fenomeno squisitamente iracheno, che ha ramificazioni e patenti che vengono prese qua è là, in modo più o meno dubbio, ma che sicuramente non hanno alcun tipo di radicalmente con la dimensione somala. Chiaramente interesse di Al-Shabaab è cercare di far comprendere all’opinione pubblica internazionale quanto la minaccia, rappresentata dall’organizzazione, sia ben maggiore rispetto a quella che in realtà non è: questa supposta capacità di gestione logistica delle attività nella regione – insieme a Boko Haram e Is – è ovviamente parte della retorica e della propaganda dell’Al-Shabaab, ma nella realtà dei fatti è onestamente – ad oggi - molto difficile poter dire che ci sia una effettiva capacità di coordinamento e soprattutto di gestione congiunta delle operazioni.

D. – La Somalia è uno Stato, il cui governo controlla a malapena la capitale: perché non si riesce a stabilizzare?

R. – Il vero problema della Somalia è che dopo una prima fase di grandi entusiasmi internazionali e di euforia nazionale con le prime elezioni che hanno portato all’elezione del Parlamento e a quella del presidente, la Somalia è tornata nel limbo del suo problema endemico: quindi quello della corruzione, del nepotismo, del tribalismo. La Comunità internazionale non è stata capace – da una parte – di generare quel necessario flusso di risorse economiche che sono oggi fondamentali per la ripresa del Paese e – dall’altra – di imporre un regime di governance alle autorità somale.

D. – Dopo gli attacchi subiti recentemente in Kenya – pensiamo a quello all’Università di Garissa o al centro commerciale di Nairobi – ci sono rischi che il Kenya possa diventare una nuova Somalia?

R. – L’Al-Shabaab trova spazi solo in quella regione oggi, favorito dal fatto che ci sono ingenti traffici, favorito dal fatto che c’è comunque anche una criminalità locale con la quale sembra che una certa forma di sodalizio sia stata in qualche modo raggiunta e quindi trova interessi comuni nell’opporsi a quello che è – anche in questo caso – il disastroso ruolo del governo di Nairobi nella gestione delle politiche regionali. Questo non vuol dire, però, che Al-Shabaab sia una forza imbattibile; questo non vuol dire che sia impossibile debellare il jihadismo: il problema vero rimane la governance.








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