Tra meno di 48 ore, Papa Francesco si imbarcherà all’aeroporto di Fiumicino per fare rotta sull’Ecuador: 13 ore di volo e oltre 10 mila km per raggiungere Quito, in Ecuador, prima tappa del viaggio apostolico di nove giorni che lo porterà a visitare anche la Bolivia e il Paraguay. I tre Stati, certamente non tra i più grandi e ricchi del continente, incarnano quel desiderio del Papa di farsi vicino soprattutto alla gente meno considerata dai circuiti internazionali, siano essi economici, politici o mediatici. Il servizio di Alessandro De Carolis:
Le periferie, dovunque siano, quelle che mai o quasi avevano visto il vestito bianco del Papa. Francesco continua a privilegiarle, attirando il sole dei media in luoghi dove una testata internazionale non invierebbe neanche uno stagista. E invece saranno lì, i maggiori vaticanisti, e le telecamere con i loghi più celebri, arrampicati su fino a El Alto, l’Everest delle città, che si affaccia su La Paz a più di quattromila metri sul livello del mare, dove quasi non si respira e dove l’acqua arrivava a dorso di mulo, e che da un centinaio di anni è invece casa per quasi un milione di indios. Saranno radunati lì i grandi broadcaster a raccontare, mercoledì prossimo, le prime parole d’affetto che avrà voluto riservare alle persone tra la più povere della Bolivia il Vicario di Cristo che inaugurò il suo ministero extravaticano tra i senza patria di Lampedusa.
Pesi "minimi"
El Alto è uno dei simboli del prossimo viaggio apostolico,
che riporta il Papa latinoamericano verso quella “fine del mondo” lasciata due anni
fa per spalancare alla Chiesa universale un orizzonte e uno stile mai visti. Anzi
ai bordi della fine del mondo, perché Ecuador, Bolivia e Paraguay, sulla bilancia
della geopolitica, non sono considerati pesi massimi da nessuno e per questo hanno
peso nel cuore di Francesco. El Alto dunque sarà un simbolo come lo sarà Quito, capitale
e dell’Ecuador, altra località dove la storia è stata scritta ad alta quota, tra una
piantagione e una miniera d’argento: oggi polo industriale e culturale, ieri terra
di incontro e scontro tra le civiltà precolombiane e gli scopritori del “nuovo mondo”,
ma ancora terreno di una faticosa costruzione della democrazia, tra antiche povertà
e periodiche crisi di un Paese che adesso, all’ombra del Papa, vuole riscoprire la
solidità di una ricchezza più stabile di quella liquida garantita dal petrolio, ma
troppo legata alle discese ardite e le risalite dei mercati.
Crisi e democrazia
Dalle metropoli di periferia più vicine al cielo –
ma ci sarà stata una puntata alla città portuale ecuadoriana di Guayaquil e alla mezza
collina boliviana di Santa Cruz de la Sierra per l’incontro mondiale dei Movimenti
popolari – giù ai meno 50 metri sul livello del mare di Asunción, la capitale che
sorge lungo le rive del fiume Paraguay che dà il nome al terzo Paese che visiterà
Papa Francesco. Popolo di agricoltori e allevatori soprattutto, il Paraguay è uno
Stato dalla storia turbolenta simile a tante nel continente – 31 presidenti solo nei
primi 50 anni del Novecento – che oggi fa i conti con i morsi di una economia che
di recente ha alternato stati di crisi a strappi di crescita in positivo, senza mai
però sconfiggere quello che studi e stime identificano come il primo nemico, la stragrande
diffusione del lavoro sommerso.
Assieme alla Virgen
Anche il Paraguay chiede a Francesco parole di risveglio,
che certamente arriveranno dal Papa che padroneggia da maestro la lingua del pueblo
e ha nelle vene lo stesso sangue spirituale di tutta la gente dell’America Latina,
quello che si affida ogni giorno alla Virgen, in tutti i titoli con cui Ella è venerata
nel continente. Sarà questa, l’anima mariana, la chiave da non sottovalutare in nessun
istante per comprendere a fondo gli eventi che si susseguiranno a ritmo incalzante
la prossima settimana. Eventi, non a caso, racchiusi tra l’aria rarefatta di Quito
e La Paz, anzi “Nuestra Señora de La Paz”, e i pati in stile andaluso che profumano
d’arancia di Asunción, anzi “Nuestra Señora Santa María de la Asunción”.
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