2015-07-02 13:00:00

Sanzioni Onu per violenze in Sud Sudan. Attaccato campo sfollati


Il Consiglio di Sicurezza dell’Onu ha deciso di imporre sanzioni a sei generali del Sud Sudan ritenuti responsabili di alimentare disordini e violenze nella guerra civile che dal dicembre 2013 sconvolge il Paese africano, con continui combattimenti tra le truppe governative del Presidente Salva Kiir e i ribelli dell’ex vice Presidente Riek Machar. Si tratta del primo provvedimento del genere dall’inizio del conflitto che prevede per i militari - tre vicini al capo di Stato e tre fedeli al rivale - restrizioni finanziarie e negli spostamenti. Nelle stesse ore però in Sud Sudan si sono registrate nuove violenze. A Malakal, nello Stato dell’Alto Nilo, una base Onu che ospita decine di migliaia di civili in fuga dalla guerra, è stata attaccata da un gruppo armato che ha aperto il fuoco ed ha ucciso almeno una persona, ferendone un’altra decina. “Tutti gli attacchi contro siti a protezione dei civili costituiscono un’aggressione diretta contro le Nazioni Unite e potenzialmente un crimine di guerra”, ha dichiarato la missione del Palazzo di Vetro nel Paese africano, la Minuss. Per una testimonianza sull’accaduto, ascoltiamo suor Elena Balatti, missionaria comboniana in Sud Sudan, raggiunta telefonicamente da Giada Aquilino:

R. – Io mi trovo a Juba e, da quanto ho sentito raccontare direttamente da persone di etnia dinka rifugiate nel campo delle Nazioni Unite, quattro persone armate sono riuscite ad arrampicarsi in un certo punto della rete di protezione, eretta dal personale Onu per proteggere gli sfollati delle principali tribù che sono state costrette a lasciare i propri villaggi a causa della guerra: le tribu dinka, shilluk e nuer. Quindi queste quattro persone armate - si presume facenti parte del movimento di ribellione al governo - hanno aperto il fuoco all’interno del campo: una persona è stata uccisa ed altre sono state ferite all’interno del campo.

D. – Perché è stato attaccato il campo?

R. – Una risposta ragionevole potrà essere data nelle prossime ore. Nei giorni scorsi, non appena le forze ribelli hanno riconquistato il territorio di Malakal - in cui non sono più presenti civili, è una città fantasma - i due comandanti dei ribelli hanno dato istruzioni alle loro forze di non molestare in alcun modo i civili dinka, secondo quanto ho sentito direttamente da persone di varie tribù. Purtroppo in questa guerra civile l’elemento tribale ha avuto un grosso peso e lo ha tutt’ora. È da verificare come mai, a quanto sembra, questi soldati non abbiano rispettato le istruzioni date dai loro comandanti…

D. – Lei ha detto che il campo Onu ospita persone di diverse etnie che si sono rifugiate lì per sfuggire alle violenze. In quali condizioni si vive in quelle zone?

R. – Le condizioni di vita all’interno del campo Onu, dove il numero degli sfollati ha raggiunto i 30 mila nel mese di aprile, sono particolarmente difficili. E questo anzitutto perché in aprile c’è stato un afflusso di sfollati abbastanza improvviso, dovuto all’intensificarsi delle operazioni militari nelle aree del nord. Le tensioni all’esterno e le operazioni militari hanno reso poi impossibile alle Nazioni Unite e alle organizzazioni umanitarie, per parecchio tempo, ricevere i carichi di cibo e di altri beni da distribuire all’interno del campo. Perciò le scorte alimentari e di altri beni di prima necessità, come il sapone ad esempio, sono calate e questo ha comportato un impoverimento della dieta e delle condizioni igieniche.

D. – Proprio nelle ultime ore l’Onu ha sanzionato sei generali ritenuti responsabili di alimentare disordini e violenze. Basteranno questi provvedimenti a riportare la pace?

R. – Assolutissimamente no. Le Nazioni Unite o coloro che hanno messo in opera le sanzioni hanno fatto delle verifiche che hanno portato a concludere che i comandanti in questione abbiano beni all’estero, conti in banca e possano viaggiare all’esterno del Sud Sudan. In questi ambiti sono stati colpiti con le sanzioni. La guerra ha coinvolto un terzo del Paese: per riportare la pace c’è bisogno di un concorso di molte forze. La mia opinione è che i sud sudanesi debbano accordarsi fra loro, al di là della mediazione internazionale, soprattutto dell’Igad e di altri Paesi. Ma la pace non viene portata dalle sanzioni: viene da un accordo fra i vari gruppi che devono negoziare fra di loro, cercando di far sì che ogni gruppo possa vedere che i propri interessi legittimi siano rispettati. Spero vivamente che queste mie parole alla Radio Vaticana possano essere un invito per tante persone a pregare affinché la situazione di conflitto in cui si trova il Paese venga risolta e affinché si veda una luce che indichi la fine del tunnel.








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