2015-07-01 13:06:00

Usa e Cuba annunciano apertura rispettive ambasciate


Nuovo storico passo per il disgelo fra Stati Uniti e Cuba: il presidente americano Obama ha consegnato formale richiesta al leader cubano Castro di riaprire le ambasciate sui rispettivi territori. L'annuncio oggi nei discorsi ufficiali dei due capi di Stato. "Ora è giunto il momento di annullare l'embargo" ha sottolineato Obama. Un provvedimento su cui tuttavia solo il Congresso americano avrà il potere di pronunciarsi. I particolari da Paola Simonetti

L'era della guerra fredda fra Stati Uniti e Cuba sembra una pagina storica destinata a chiudersi. Il presidente americano Obama ha fatto recapitare al suo omologo cubano, Castro,  formale richiesta di riapertura dal prossimo 20 luglio sui loro territori delle rispettive ambasciate, chiuse nel 1961. Ed in contemporanea i due leader hanno annunciato l'evento pubblicamente. "Non è un provvedimento simbolico - ha sottolineato il presidente americano in conferenza stampa- ma una decisione storica. Continueremo a sottolineare le differenze di valori con il regime cubano, ma è tempo - ha aggiunto Obama -che il Congresso cancelli l'embargo. Gli sforzi per isolare Cuba non hanno avuto l'effetto desiderato, ma quello opposto". Castro dal canto suo ha fatto sapere che Cuba ha deciso di riaprire una missione diplomatica permanente con gli Stati Uniti. Un passo dunque, quello odierno, che, dopo la cancellazione nel maggio scorso dell'isola caraibica dalla lista nera degli Stati sponsor del terrorismo, rappresenta per Obama un'occasione di collaborazione a largo raggio, e forse, anche uno spiraglio di svolta per scambi commerciali e turistici. Ma la strada non sarà diretta né facile: il provvedimento di annullamento dell'embargo verso Cuba infatti potrà passare solo attraverso l'approvazione del Congresso americano. 

La decisione di riaprire le rappresentanze diplomatiche appare un passo cruciale, come spiega Gianluca Pastori, docente di Storia delle relazioni politiche tra il Nord America e l’Europa, all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e ricercatore dell’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi), intervistato da Giada Aquilino:

R. – Da un punto di vista formale lo è sicuramente: la riapertura dell’ambasciata significa legalmente la ripresa delle relazioni diplomatiche fra due Paesi e la fine del periodo di tensione che aveva impedito il mantenimento di queste relazioni diplomatiche.

D. – A fine maggio l’annuncio del Dipartimento di Stato americano della cancellazione di Cuba dalla ‘lista nera’ degli Stati considerati sponsor del terrorismo. Ciò è accaduto dopo ben 33 anni. E’ stato un segnale forte?

R. – Dopo oltre 30 anni, nella riapertura e nella ripresa delle relazioni economiche ha sicuramente una valenza. D’altro canto credo che entrambe le parti ormai fossero abbastanza stanche - seppur per ragioni diverse - per il perdurare di una situazione che era negativa sicuramente per Cuba, ma per molti aspetti anche per Washington.

D. – Uno spiraglio fu aperto a dicembre 2013 dalla storica stretta di mano tra Obama e Raul Castro alle commemorazioni in Sudafrica per la morte di Mandela. A lavorare per un dialogo tra i due Paesi è stata poi anche la Chiesa cattolica: che tipo di mediazione ha portato avanti?

R. – La Chiesa cattolica è un soggetto che tradizionalmente ha svolto un ruolo importante in queste mediazioni apparentemente ‘impossibili’. Non dimentichiamo che in un caso e nell’altro – sia nel caso degli Stati Uniti, sia nel caso di Cuba – quella cattolica è una componente importante della popolazione.

D. – La visita di due Papi sull’isola caraibica, San Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, ha migliorato le relazioni con il potere cubano. Francesco andrà a breve ed ha scritto anche ad Obama e Raul Castro per chiedere di superare i disaccordi. Un punto importante, per esempio, è la questione dei prigionieri…

R. – Chiaramente lo stato è di prigionieri politici e di dissidenti, in ultima analisi. La decisione comunque di intavolare un dialogo sulla questione dei prigioni politici è un segnale di distensione molto evidente, ma soprattutto un segnale della volontà del governo cubano di ripensare l’approccio ideologico che ha avuto dagli inizi degli anni Sessanta.

D. – Cosa è cambiato nel tempo?

R. – La rivoluzione cubana nasce come una rivoluzione populista, come una rivoluzione di ispirazione marxista, ma sicuramente non come una rivoluzione legata all’adesione ai principi, ai valori e all’ideologia sovietica. Nel corso degli anni - nel corso degli anni Sessanta e Settanta - questa dimensione ideologica si è invece rafforzata in maniera molto forte. Tale rafforzamento ideologico ha portato, dal punto di vista delle relazioni internazionali, ad un irrigidimento dei rapporti con gli Stati Uniti e, dal punto di vista degli equilibri interni, ad un rafforzamento della macchina repressiva del governo. Poi, a partire dalla fine degli anni Ottanta, dalla crisi dell’Unione Sovietica e poi successivamente dalla sua dissoluzione, Cuba si è trovata sempre più isolata e sempre più priva di punti di riferimento a livello internazionale.

D. – La sfida più grande rimane quella della fine dell’embargo verso Cuba: quanto manca?

R. – In questo momento gli Stati Uniti stanno attraversando un periodo, in qualche misura, di ‘sospensione’. Non dimentichiamo che il 2016 per gli Stati Uniti sarà l’anno elettorale: sarà l’anno in cui il Paese sceglierà il nuovo Presidente. E’ molto probabile che Obama voglia sfruttare questi ultimi mesi che gli rimangono alla Casa Bianca per poter lasciare un segno storico, un ricordo della sua presidenza che sia nella storia. D’altro canto, però, non dimentichiamo neanche che le resistenze alla rimozione dell’embargo sono molto consistenti. Io credo che la questione di Cuba entrerà in maniera evidente nella competizione fra i diversi candidati alla presidenza: molto probabilmente potremo vedere la classica contrapposizione fra un candidato democratico o una serie di candidati democratici che premeranno per portare avanti - con maggior o minore convinzione - la linea avviata ed aperta da Obama e uno o più candidati repubblicani che, al contrario, cercheranno di rilanciare la questione della pericolosità di Cuba e della necessità di perseguire una politica di “regime change” - di cambiamento di regime – attraverso il mantenimento dell’embargo.

D. – Anche perché dovrà esserci l’approvazione del Congresso americano…

R. – Assolutamente. Non dimentichiamo che tutti gli atti internazionali degli Stati Uniti devono essere ratificati dal Congresso.








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