2015-06-27 20:01:00

Turisti in fuga dalla Tunisia dopo l'attentato di Sousse


Turisti in fuga dalla Tunisia all’indomani dell’attentato terroristico nel quale ieri sono morte almeno 39 persone sulla spiaggia di un resort della località di Sousse. Il governo ha stabilito subito una serie di misure anti terrorismo in risposta alla minaccia posta dal sedicente Stato islamico che ha rivendicato l’attacco così come l’attentato in Kuwait,  sempre ieri, costato la vita a molti fedeli sciiti. Servizio di Francesca Sabatinelli:

Il giorno dopo il terrore sulla spiaggia di Souse, il governo tunisino del premier Essid ha dato il via ad una serie di drastiche misure di sicurezza. Ottanta le moschee non controllate dallo stato e quindi ritenute fonte di propaganda eversiva che verranno chiuse entro una settimana, altre restrizioni saranno prese nei confronti di partiti e associazioni rei di violare la costituzione.

Tunisi ha quindi aperto un’inchiesta e rafforzato la vigilanza richiamando i riservisti. E’ la reazione di una Tunisia piegata dal dolore e dal lutto per i 39 morti, tra loro 34 turisti stranieri la maggior parte dei quali britannici, ha confermato Londra. L’autore della strage, 23 anni, era noto ai servizi segreti perché frequentatore di estremisti salafiti. Di lui sarebbe stato recuperato il cellulare gettato in mare prima di dare il via all’attacco. E 18 sono i sospetti arrestati in Kuwait per il coinvolgimento nell’attentato suicida contro una moschea sciita a Kuwait City dove durante la preghiera del venerdì sono morti 27 fedeli.

 

Sul significato di questa scia di attacchi, il parere di Matteo Pizzigallo, esperto di Relazioni internazionali all’Università Federico II di Napoli. L’intervista è di Massimiliano Menichetti:

 R. – Stiamo assistendo a una escalation nella quale lo Stato islamico vuole dimostrare la sua capacità militare, la sua forza, la sua organizzazione, in grado di creare terrorismo diffuso globale, che colpisca tutti. La cosa sulla quale riflettere è che sono state colpite città lontane quasi simultaneamente, in un giorno che ha un significato molto importante: la celebrazione macabra dell’anniversario di un anno dalla presa di Mosul. La strategia di fondo è quella di gettare nel panico tutti coloro che si oppongono all’Is.

D. – In Kuwait, un attentatore è entrato in una moschea sciita e si è fatto esplodere al grido di “Allah è grande”. Un attacco contro i musulmani, oltre che contro l’Occidente. Come stanno le cose, secondo lei?

R. – E’ l’uno e l’altro. C’è una specie di priorità di obiettivo. Primo punto è quello della guerra contro gli sciiti, per riaffermare il primato della confessione sunnita rispetto agli altri. E poi, contemporaneamente, bisogna portare la guerra in Occidente e gettare l’Europa nel panico. I due fronti sono simultanei, ci si muove nello stesso tempo.

D. – Si alza l’allarme praticamente in tutto l’Occidente. Quale deve essere la risposta internazionale?

R. – Penso che l’ispirazione che ci ha dato il Santo Padre nell’approccio alla politica globale e internazionale in questo momento sia importante e decisiva, nel senso che bisogna – come ha detto il presidente francese Hollande – non farsi prendere dal panico, non abbassare la guardia, non avere timore e non avere paura. In secondo luogo, si deve intensificare l’attività di Intelligence, di informazione e di prevenzione, per quello che riguarda la sicurezza delle città europee. E, in terzo luogo, richiamandomi al pensiero del Santo Padre, bisogna avviare una riflessione complessiva sulla gestione delle relazioni internazionali e della politica internazionale, cioè cominciare ad avviare una riflessione per cercare di rimuovere le cause profonde che determinano il disagio e le guerre in larga parte del continente.

D. – Ma come si interviene concretamente in un’area dove giocano molte forze, come gli Stati Uniti, la Russia, le monarchie del Golfo?

R. – L’Iran, la Russia, le monarchie del Golfo, la Turchia sono un problema e allora devono fare parte anche della soluzione del problema, ossia la pace si fa con tutti. Quindi, bisogna sedersi intorno a un tavolo e prendere atto che sono falliti definitivamente, si sono frantumati i confini di tutta l’area del Medio Oriente, così come furono concepiti alla fine della Prima Guerra mondiale. Quindi, di conseguenza, bisogna convocare una grande conferenza internazionale in cui, senza preclusioni, pregiudizi ideologici da parte di nessuno degli attori statuali e non statuali, muoversi in questa direzione. E se questo costerà il sacrificio di ridisegnare quelle frontiere che, peraltro, non furono disegnate dai popoli che ci abitavano, ma furono disegnate dalle grandi potenze, questo dovrà essere accettato.








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