2015-06-22 13:28:00

Abbas esclude che Hamas sarà in prossimo governo


"Il fatto che Israele non ha rivisto la pratica dei raid aerei, neanche dopo che i loro effetti sui civili erano diventati evidenti, solleva la questione se questa fosse parte di una politica più ampia approvata, almeno tacitamente, dai più alti livelli del governo israeliano". Così si legge nel rapporto della Commissione d'inchiesta Onu sulla guerra a Gaza nel 2014. Intanto, sul fronte palestinese, il presidente della Autorità Nazionale Palestinese (Anp), Mahmoud Abbas (detto Abu Mazen), ha dichiarato che nel nuovo governo palestinese non c’è posto per Hamas. Lo ha detto al ministro degli Esteri francese, Laurent Fabius, che in questi giorni si trova in Medio Oriente per rilanciare i colloqui di pace tra Israele e Palestina. E’ durato solo un anno il governo di unità nazionale palestinese nato proprio a giugno 2014. Della presa di posizione di Abbas, Fausta Speranza ha parlato con Daniele De Luca, docente di Storia delle relazioni internazionali all’Università del Salento:

R. – Probabilmente denota la difficoltà che Abu Mazen ha, insieme ai suoi collaboratori, all’interno dell’Autorità nazionale palestinese. La scelta di annunciare pubblicamente di non coinvolgere Hamas nel governo denota sicuramente questa debolezza, soprattutto in un momento in cui ci sono voci, che però non vengono smentite dalle parti, secondo le quali il governo israeliano e Hamas stanno segretamente trattando per una tregua di almeno cinque anni.

D. – In questo momento, qual è punto centrale del braccio di ferro?

R. – Sicuramente, tra Hamas e Fatah è una vecchia questione su chi deve avere la leadership all’interno del movimento palestinese. Chi è più radicale, come Hamas, o chi è più possibilista, come Fatah, sicuramente ha obiettivi diversi, soprattutto ha obiettivi anche di riconoscimento internazionale e da questo punto di vista Fatah e Abu Mazen hanno il riconoscimento internazionale ma lo ha molto meno Hamas: Hamas ha dei riconoscimenti da parte di Stati che sicuramente non si distinguono per democrazia ma anzi per radicalità.

D. – Ancora una volta dobbiamo fotografare una spaccatura all’interno del mondo palestinese?

R. – Assolutamente sì; non c’è mai stata un’unità. Ecco, io sottolineerei il fatto che in questo momento non solo c’è una spaccatura, ma non c’è mai stata nella storia del movimento palestinese una unità, anche con la presenza di leader molto più carismatici come Yasser Arafat: anche in quel momento, anche all’interno dell’Olp ci sono state sicuramente delle correnti che mettevano in difficoltà la stessa leadership di Arafat. In questo momento, in cui non c’è una figura carismatica da vero leader all’interno del movimento palestinese, la questione diventa assolutamente più complicata e più difficile. C’è il problema, quindi, con chi bisogna trattare per un possibile trattato di pace o nuovi armistizi.

D. – Ufficialmente, i due movimenti hanno le stesse idee su come trattare con Israele: è così?

R. – Sì e no. Dico subito il ‘no’ perché nello statuto di Hamas compare ancora la questione del non totale riconoscimento di Israele: Israele a volte non viene neanche nominato, a volte si usa ancora la vecchia terminologia di “entità sionista” … Un po’ quello che fa l’Iran. Tale questione è stata invece messa da parte da Fatah e da Abu Mazen e quindi da questo punto di vista sono su posizioni diverse. Invece, le posizioni comuni sono quelle di fare più pressioni possibili, soprattutto in campo internazionale, e questo lo può fare soltanto Fatah, nei confronti dello Stato ebraico su varie questioni come per esempio quella dei nuovi insediamenti.

D. - Volevo dire anche il punto di vista, in questo momento, in questa fase, di Israele, rispetto al processo dei colloqui di pace …

R. – Il fatto che abbia vinto ancora una volta Netanyahu denota che la popolazione israeliana è alla ricerca di una sicurezza, vista anche la frammentazione del mondo politico israeliano – mai come in questo momento è frammentato, non ci sono dei punti di riferimento – fanno emergere la figura di Netanyahu e del Likud come partito che potrebbe assicurare una certa sicurezza al popolo israeliano. La presenza di Netanyahu, ufficialmente porta a dichiarare che non ci saranno mai accordi o saranno molto in là nel tempo, con l’Autorità nazionale palestinese; ma naturalmente l’esperienza e la storia ci hanno insegnato che Israele e i Palestinesi non smettono mai – mai! – di parlarsi.








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