2015-06-22 12:23:00

A Mosul rapiti 1200 bambini, l'allarme dell'Unicef


Non conosce tregua la violenza sui bambini da parte del sedicente Stato islamico. A Mosul, in Iraq, i jihadisti avrebbero rapito 1.200 minori per addestrarli alla guerra e impiegarli in azioni suicide. Un reclutamento che ormai va avanti da tempo, ma è una crudeltà che bisogna fermare per salvare il futuro dei piccoli chiamati dall’Is “cuccioli del Califfo”. Al microfono di Benedetta Capelli, l’opinione di Andrea Iacomini, portavoce di Unicef Italia: 

R. – Più di un anno fa, denunciammo che proprio in quella zona di Mosul l’Is avanzava nel silenzio generale e proprio i bambini cominciavano a essere vittime di queste situazione. Purtroppo, ancora una volta registriamo come l’Is, dopo aver per mesi reclutato bambini nelle scuole, utilizzandoli come cuochi, come portatori di armi da una parte all’altra, oggi li rapisce e li porta con sé in moltissime zone. Se questa cifra fosse confermata – perché noi come Nazioni Unite non abbiamo questi numeri – noi possiamo davvero affermare che siamo di fronte a un nuovo ennesimo fenomeno che è quello del rapimento dei bambini che vengono poi assoldati e istruiti a quelle che sono le leggi del Califfo. E’ davvero un fenomeno molto preoccupante, soprattutto perché la sorte di questi bimbi, lo sappiamo per certo, è quella purtroppo di finire violentati oppure in molti casi, e di questo ne abbiamo le evidenze, vengono applicate proprio sul corpo dei bambini piccole targhette con il prezzo.

D. – Abbiamo parlato di una devianza, la mente di questi bambini piccoli viene manipolata per far sì che si crei una generazione di fanatici. E’ veramente un progetto che possiamo definire criminale?

R.  – E’ un progetto che indubbiamente ha degli aspetti impressionanti. Noi lavoriamo moltissimo  in molte zone della Siria per recuperare questi bambini, attraverso l’istruzione, dai traumi che hanno subito a causa di queste situazioni. Non c’è dubbio che crescere un giovane jihadista vuol dire violare tutte le norme che ci sono nel mondo che fanno riferimento proprio alla protezione, al superiore interesse del bambino. Stiamo assistendo soprattutto attraverso i media e la televisione a questi bambini che dicono che da grandi vogliono fare i jihadisti, vogliono morire con il papà accanto. Se da una parte dobbiamo ascrivere queste cose a ottime strategie che l’Is utilizza per terrorizzare il mondo, dall’altra dobbiamo preoccuparci perchè dicono queste cose e quindi non c’è dubbio che questi siano progetti di tipo criminale, con intento di tipo criminoso. I bambini non possono subire questo tipo di pressione e vivere situazioni come queste.

D. – Quali sono le conseguenze  su un bambino che ha subito un tale indottrinamento e allo stesso tempo quali le modalità  per recuperarlo?

R. – Dobbiamo pensare sempre all’età del bambino. Però, se i bambini sono molto piccoli è chiaro che le conseguenze saranno quelle che, crescendo con questo tipo di educazione, saranno votati a questa causa. Recuperarli vuol dire ridare una normalità, vuol dire dare loro istruzione, portarli a scuola, intervenire su traumi che sono profondi e dai quali spesso non si esce. E’ un po’ come le bambine yazide finite nelle mani dell’Is. Queste bambine hanno subito violenze di tutti i tipi, oggi quelle che noi siamo riuscite a recuperare tornano alla normalità dopo periodi molto lunghi nei quali raccontano anche a noi quello che hanno subito. Non si può incitare un bambino a uccidere altre persone. Non si può indottrinare soprattutto un bambino a uccidersi, perché poi quello che accade è l’utilizzo di questi bambini come kamikaze. Questo non avviene solo con l’Is, ma è avvenuto e avviene con Boko Haram e in Sud Sudan. Bisogna cercare di riuscire a liberarli perché vivono in situazioni di rapimento ma dall’altra parte iniziare anche un lungo percorso di recupero che non è facile.

D. – Secondo il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon, il 2014 è stato uno dei peggiori anni per quanto riguarda la presenza dei bambini in guerra…

R.  – Questo  è l’annus horribilis per i bambini: 67 milioni di bambini vivono in contesti di guerre. Tra questi i peggiori sono in Siria dove c’è una guerra che dura da cinque anni e che ha prodotto oltre due milioni di bambini rifugiati e centinaia di migliaia di bambini uccisi. Ma non dobbiamo dimenticare l’Iraq dopo il fenomeno Is dove ci sono due milioni e mezzo di bambini che sono fuggiti dalla guerra. Ma a questo aggiungiamo un anno fa ad esempio 500 bimbi uccisi a Gaza e le situazioni che si verificano tuttora in Sud Sudan. Giorni fa abbiamo denunciato oltre 200 bambini evirati e lasciati morire per strada, come le bambine di otto anni violentate ad opera dei gruppi armati in Sud Sudan. Per non parlare del Centrafrica dove ci sono oltre un milione di bambini che fuggono dalla guerra civile e quelli che in Nigeria sono terrorizzati dalle scorribande di Boko Haram. Per la prima volta assistiamo, storicamente, a un utilizzo dei bambini come strumento di guerra in tutti i sensi: non solo reclutati come soldati ma anche uccisi per poter dimostrare alla parte avversa quanto è crudele e potente il messaggio che vuole inviare la parte che li utilizza.








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