2015-06-10 06:51:00

Sud Sudan. Appello del Consiglio delle Chiese: mai più la guerra!


Mai più la guerra in Sud Sudan, mai più: è questo l’accorato appello lanciato dal Consiglio delle Chiese del Sud Sudan (Sscc), al termine dell’incontro svoltosi a Kigali, in Rwanda. Composto da 25 membri, il Consiglio vede la Chiesa cattolica rappresentata da mons. Paulino Lukudu Loro, arcivescovo di Juba. Nel comunicato conclusivo della riunione, l’organismo tratteggia in modo chiaro la drammatica situazione del Sud Sudan, Paese africano indipendente solo dal 2011 e dal dicembre 2013 teatro di un conflitto civile innescato dai combattimenti tra le truppe governative del presidente Salva Kiir e i ribelli dell’ex vice presidente Riek Machar.

Inascoltata la voce della Chiesa
In primo luogo, guardando al Rwanda, l’Sscc esorta a prendere esempio dalla storia di perdono e riconciliazione avvenuta in questo Paese dopo il genocidio del 1994, e scrive: “Dobbiamo imparare dal Rwanda perché simili atrocità non avvengano mai più nel nostro Paese. Mai più!”. Quindi, il Consiglio ricorda l’importanza della “voce profetica della Chiesa”, rimasta, purtroppo, inascoltata: “Tutti i nostri suggerimenti per arrivare alla pace sono stati ignorati – si legge nel comunicato – Ma per portare a compimento il nostro mandato, datoci dal Signore, dobbiamo smetterla di fare soltanto i ‘cani guida’ e diventare, piuttosto, ‘cani da guardia’”. D’ora in poi, infatti, spiega l’Sscc, la Chiesa non si limiterà a mettere in guardia i leader politici e la popolazione dal ricorso alla malvagità, ma “intraprenderà anche azioni concrete per portare la riconciliazione nel Paese”.

Conflitto insensato, porvi fine immediatamente
Quindi, il Consiglio delle Chiese bolla come “insensato” il conflitto in corso, ribadendo che esso deve “cessare immediatamente”: “Non c’è alcuna giustificazione morale – prosegue la nota – nel continuare ad ucciderci fra noi”. E la fine delle ostilità, aggiungono i 25 firmatari del documento, “deve essere raggiunta prima di qualsiasi negoziato perché è inaccettabile fare trattative mentre la popolazione muore”. Al primo posto, dunque, devono esserci “i bisogni del popolo, non quelli dei politici o dei militari”, perché altrimenti “il potere, e non la pace, avrà la priorità su tutto”. Quindi, l’Sscc enumera le gravi conseguenze del conflitto: deterioramento economico ed umanitario; violazioni dei diritti umani; uccisioni e torture; rapimenti; bambini reclutati nei gruppi armati; arresti immotivati; forze di polizia che agiscono come se fossero al di sopra della legge; militarizzazione della società.

Denuncia di una volontà politica alla pace
Di fronte, poi, alla “mancanza di volontà politica alla pace”, il comunicato ricorda che invece “la Chiesa, storicamente, ha giocato un ruolo significativo nel processo di riconciliazione” e per questo l’Sscc rende noto, pubblicamente, che d’ora in poi “compirà passi concreti per una soluzione del conflitto”. “Andremo in tutte gli organismi regionali delle Chiese – prosegue la nota – nei Consigli nazionali e nei singoli luoghi di culto” per promuovere un piano per la pace. In quest’ottica, viene auspicato anche l’interessamento della comunità internazionale.

Non farsi condizionare dal passato
​“La riconciliazione è essenziale a tutti i livelli – scrive l’Sscc – E solo la Chiesa può portare ad essa”. Per fare questo, però, “è necessario trasformare i cuori delle persone e della nazione”, perché il Sud Sudan riuscirà a vivere come una nazione unita “solo con l’aiuto di Dio” che porta “al perdono ed alla pace”. Il documento si chiude con un messaggio di speranza e con l’esortazione a non farsi più condizionare dal passato, bensì ad “accettarsi l’uno l’altro come un popolo unito”. (I.P.)








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