2015-06-10 11:07:00

Morricone: la mia "Missa", omaggio ai Gesuiti e a Francesco


Debutta oggi alle 18.00 nella Chiesa del Gesù a Roma, la Missa “Papae Francisci”, scritta da Ennio Morricone su commissione dell’Ordine di Sant'Ignazio in occasione del bicentenario della ricostituzione della Compagnia di Gesù. Rimandata già l’anno scorso per motivi di salute del Maestro, questa prima mondiale è affidata all’Orchestra "Roma sinfonietta" e al doppio coro dell’Accademia di S. Cecilia e del Teatro dell’Opera, guidati da Stefano Cucci. E’ una “nuova prova, ma sono soddisfatto”, racconta il maestro al microfono di Gabriella Ceraso:

R. – Non è proprio una sfida. Ogni cosa che faccio è sempre un esame con me stesso, oltre che con chi mi ascolta e anche con quelli che mi hanno commissionato questo lavoro, che da qualche giorno è in prova e che mi lascia abbastanza contento.

D. – Nonostante i tanti generi in cui lei si è cimentato, questa è comunque la prima Messa. Non ci aveva mai pensato? Come è accaduto?

R. – Una Messa me la chiedeva da anni mia moglie, ma io non mi decidevo mai. Finalmente, incontrai il rettore di Piazza del Gesù, padre Libanori, e mi chiese di scrivere una Messa per il 200.mo della ricostituzione dei Gesuiti. Ma la cosa che mi impressiona di più di questo incarico è il fatto che io abbia scritto la musica del film “Mission”, che è la storia dei Gesuiti in Sudamerica, i quali dopo qualche anno, dal 1750, furono sciolti. Vede quante coincidenze? In qualche maniera, io ho partecipato al loro scioglimento e ora partecipo alla ricorrenza del 200.mo della loro ricostituzione. E poi il Papa, l’unico gesuita finora… Quindi, gli ho dedicato la musica. E’ incredibile! Trovo in tutto questo delle coincidenze che definirei quasi miracolose

D. – Scrivendo una Messa per un Pontefice per un occasione particolare, lei si inserisce in una grande tradizione musicale da Palestrina in poi. Ha voluto un organico di due cori e un’orchestra con scelte timbriche particolari. Ecco, quanto si riaggancia alla tradizione e quanto invece c’è di originalità nel suo lavoro?

R. – Ho scelto due cori perché erano una tradizione dei fratelli Gabrieli e di Willaert a Venezia, dove è iniziato il doppio coro. Nell’organico ho tolto i violini e le viole, perchè mi portavano a essere forse troppo sdolcinato. La cosa, invece, deve essere abbastanza severa. Quindi, ho messo le percussioni, 5 trombe, 5 corni e 5 tromboni e due organi. Sono rimasto fedele alla modalità che abbiamo nella musica gregoriana. Poi, ho usato la polimodalità, mettendo anche delle dissonanze, che si sentono meno e che definirei meglio false relazioni. Mi sono preso quindi delle libertà, ma il pezzo appare chiaramente come un pezzo liturgico, anche se qualche esperimento sottotraccia c’è.

D. – Il clima generale però di quest’opera – lei lo ha già detto – è un clima di serenità, specchio di questa idea della ricostituzione di un Ordine, quindi della ritrovata unità nella Compagnia di Gesù...

R. – Credo di sì. Questo pezzo è un pezzo sereno. La drammaticità, forse, la si trova nel dinamismo che c’è in alcuni momenti.

D. – Lei ha mostrato anche al Papa l’introduzione della Messa: con le note che visivamente costituiscono una vera e propria croce. C’è dunque un simbolismo religioso in questo punto della Messa?

R. – Tre croci, non una croce. I corni e la tromba suonano nove suoni, cioè la Trinità moltiplicata per se stessa. La parte orizzontale, l’orchestra, la verticalità della croce, fa gli altri tre suoni, cioè ancora una Trinità. Ecco, mi piace tutta questa simbologia. E’ un pezzo dove il coro, che potrebbe essere fatto anche dal pubblico, fa una preghiera sommessa mentre l’orchestra suona. E’ come se fosse una folla a dire queste parole. Dura un minuto e mezzo, dopo di che comincia la Messa con il "Kyrie".

D. – Ma per scrivere una Messa bisogna avere fede?

R. – A me risulta, nella storia, che i musicisti abbiano fede nella loro invocazione a Dio. Che la confessino o no, non lo so.

D. – Musica sacra si può fare anche dunque con il linguaggio di oggi?

R. – La grandezza del linguaggio di oggi unita alla grandezza della tradizione. Per esempio, i due cori e l’uso della modalità sono nel rispetto della tradizione, che c’è ancora. Ci sono tradizione e innovazione.

D. – Non in conflitto, quindi? Si possono conciliare?

R. – Sì, sì.








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