2015-06-07 20:19:00

Urne chiuse in Turchia. Erdogan punta alla maggioranza assoluta


Urne chiuse in Turchia. Alta l’affluenza dalle 8 locali, le 7 in Italia, per le elezioni a turno unico che decideranno la composizione del prossimo parlamento di Ankara. Si registrano alcuni tafferugli il clima generale è stato di alta tensione, ingenti le misure di sicurezza. Il presidente, Recep Tayyip Erdogan, spera in una vittoria netta del suo partito l’AKP, al potere da tredici anni, per rinforzare il dominio sul Paese. Ma che Turchia è quella che arriva a questo voto? Marco Guerra lo ha chiesto a Valentina Scotti, ricercatrice di Diritto Pubblico Comparato alla Luiss, studiosa di questioni turche:

R. - La Turchia che va alle urne è sicuramente una Turchia profondamente divisa a livello sociale. Tendenzialmente lo scontro principale, la linea di faglia, è tra i sostenitori - che sembrano essere comunque ancora la maggioranza – dell’Akp, il partito di Erdogan, che al suo interno però dimostra di avere recentemente interessanti correnti; poi c’è una Turchia laica rappresentata dal Chp, che è il partito che si dichiara progressista, ma che allo stesso tempo rappresenta l’eredità kemalista  e quindi anche nazionalista del Paese. Da ultimo cerca di trovare spazio una Turchia curda, il partito di Selahattin Demirtas che nasce come partito che rappresenta le istanze dei curdi, diventando sempre più un partito su scala nazionale e presentando anche candidati innovativi; quindi si pone come partito di rottura. Quello che c’è da chiedersi per la Turchia post elezioni è se in parlamento tutti questi partiti avranno una rappresentanza o se ancora una volta verranno eletti prevalentemente rappresentanti dell’Akp e quindi ancora una volta Erdogan avrà la maggioranza.

D. - Il risultato di queste elezioni, come può influenzare la presidenza Erdogan e l’assetto politico del Paese?

R. - Diciamo che Erdogan non viene influenzato direttamente da queste elezioni, perché nella sua carica di presidente della Repubblica ha il suo mandato; sappiamo però che Erdogan ha un suo progetto politico: quello di far approvare la riforma costituzionale strutturata in vari punti ma che, essenzialmente, mira a modificare la forma del governo del Paese in senso almeno semipresidenziale. Queste elezioni sono determinanti e se il partito di Erdogan riesce ad ottenere almeno 300 dei 550 seggi disponibili alla grande assemblea nazionale, può fare la riforma da solo, ha una maggioranza sufficiente per procedere alla riforma costituzionale. Se così non dovesse accadere, deve cercare alleanze e questo punto diventa complicato capire quali partiti potrebbero allearsi con quello che viene ormai definito da quasi tutto il resto dell’opposizione “il nuovo califfo”, “il nuovo sultano”.

D. - Secondo molti commentatori queste elezioni sono un bivio tra occidente e autoritarismo  …

R. - Queste elezioni possono sicuramente essere uno spartiacque innanzitutto nella storia della Turchia, perché se l’Akp ottiene la maggioranza, fa la riforma, cambia la forma di governo in semipresidenzialismo o in presidenzialismo e questo significa sicuramente aumentare i poteri del presidente della Repubblica. Che una tale riforma debba per forza coincidere con un autoritarismo non è detto; non per forza forme di governo che premiano la figura del presidente devono significare un autoritarismo. Certo è che Erdogan negli ultimi tempi si è lasciato andare a dichiarazioni che, viste dall’occhio dell’Unione Europea, sembrano appunto andare verso un autoritarismo. Va comunque detto che questo è un partito che ha un forte sostegno da parte della popolazione turca, soprattutto delle aree rurali, perché è il partito che comunque ha fatto delle importanti riforme in senso democratico, è il partito che ha fatto uscire il Paese dalla crisi economica, ha saldato il debito con il Fondo monetario internazionale, e che ha grande sostegno anche da parte di alcuni esponenti della comunità curda, perché è il partito che ha iniziato il dialogo con il Pkk e con Ocalan. Quindi, forse, la situazione è un po’ più sfumata rispetto a un netto passaggio tra autoritarismo e democrazia. Anche nell’ottica dei rapporti con l’Unione Europea, va detto che la situazione è sicuramente in stallo, nonostante le dichiarazioni di voler mantenere il dialogo aperto, tuttavia il problema fondamentale è che da un lato la Turchia deve risolvere questa questione, se vogliamo identitaria, dall’altra la crisi non mette l’Unione Europea nella condizione di negoziare serenamente con un Paese così popoloso e con un’economia in crescita come la Turchia.








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