2015-06-07 12:46:00

Lombardi: a Sarajevo, Francesco promotore della cultura dell’incontro


Una visita di un giorno intensissima e in molti momenti commovente. All’indomani del viaggio di Papa Francesco a Sarajevo, Alessandro Gisotti ha chiesto un commento al direttore della Sala Stampa Vaticana, padre Federico Lombardi:

R. – Tutti e cinque i momenti a Sarajevo sono stati estremamene importanti, anche se è chiaro che dal punto di vista emotivo l’incontro in cattedrale con il clero e l’incontro con i giovani alla sera sono quelli che hanno colpito e coinvolto di più. Infatti, come poteva essere in un certo senso previsto, il Papa ha lasciato da parte il discorso preparato per muoversi invece in modo completamente spontaneo, a braccio, con una espressione molto intensa e vissuta in quel momento. Però questo non deve far dimenticare l’importanza straordinaria anche degli altri momenti. Per cui, per me, è difficile dire che uno sia più importante dell’altro. Per noi, evidentemente la celebrazione dell’Eucaristia, con tutta la comunità cattolica di Sarajevo è certamente il momento cruciale di una giornata di questo genere. Però prendiamo anche l’incontro interreligioso: l’incontro interreligioso è stato di altissimo livello e anche gli interventi degli altri leader religiosi, che sono stati presenti e che hanno parlato, erano eminenti nella loro qualità. Chi era presente capiva che il lavoro del Consiglio interreligioso, che era rappresentato da questi leader, insieme al Papa, è un lavoro estremamente importante, di lunga scadenza, di lunga prospettiva e che va in profondità per stabilire veramente un contatto nel profondo del cuore sulla posizione e sulla base della fede, della credenza religiosa, e non degli interessi o dei momenti della politica o dell’economia, ma sua una base religiosa profonda fra i credenti delle diverse confessioni presenti nel Paese. Quindi vorrei dire che tutto è stato estremamente importante e tutto è stato estremamente unitario, perché è chiaro che il Papa era pellegrino di pace e di dialogo – come ha detto egli stesso – e ha declinato questo pellegrinaggio in diverse forme e con diversi interlocutori, ma con un messaggio estremamente unitario, dai responsabili politici ai responsabili religiosi, alla comunità cattolica, ai giovani.

D. – Proprio riguardo a questa sua ultima riflessione, la Sarajevo visitata 18 anni fa da Giovanni Paolo II aveva ancora le ferite sanguinanti della guerra: Francesco, ieri, in qualche modo, ha proposto la nuova Sarajevo come modello di concordia per il mondo. Ecco, questo del dialogo si conferma un tema chiave del Pontificato a Roma come nei viaggi internazionali…

R. – Sì. Effettivamente il Papa è una persona che promuove con la sua presenza, oltre che con le sue parole, la cultura dell’incontro. Anche ieri, al di là delle formule e dei contenuti dei discorsi, colpiva come fosse la sua persona, la sua personalità di leader religioso e umano credibile, rispettato da tutti… un po’ da tutti i popoli oggi nel mondo, che con la sua presenza incoraggiava a fare dei passi avanti, in situazioni che continuano ad avere le loro difficoltà; incoraggiava i giovani a camminare verso l’avvenire. Quindi il discorso era veramente articolato in termini di speranza, che è una delle altre grandi parole che il Papa ha utilizzato, dicendo sia ai religiosi che devono fare una pastorale della speranza, sia ai giovani che devono essere la speranza del Paese che guarda verso il futuro, il Paese del dopoguerra; una generazione che mette la guerra alle sue spalle per costruire insieme un futuro di armonia. Effettivamente dava un senso di grande gioia poter vivere nella città, che ha giù sensibilmente rinnovato il suo volto dopo le distruzioni della guerra, ma poterla vivere come una città che deve trovare la sua vocazione come simbolo di ricostruzione nella comunione, nella diversità, nella convivenza pacifica e armonica delle diverse componenti. Questo mentre nella nostra memoria è in gran parte ancora un simbolo di divisione e di guerra.








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