2015-06-05 11:54:00

Mali, possibile accordo di pace tra governo e ribelli


Il governo e i ribelli del nord del Mali potrebbero firmare a breve un accordo di pace. È quanto ha annunciato il Coordinamento dei movimenti dell’Azawad (Cma), che riunisce le sigle che hanno partecipato ai negoziati conclusisi il 15 maggio scorso. I ribelli chiedono una maggiore rappresentatività degli ex combattenti del Cma nelle Forze armate e una partecipazione attiva nelle decisioni economiche del Paese. Ma il dialogo fa sperare in una stabilizzazione definitva del Mali? Federica Bertolucci lo ha chiesto a Luigi Serra, docente di Cultura berbera all’Orientale di Napoli:

R. – Secondo me sì. Il dialogo è la chiave di volta per la risoluzione di tutte le situazioni di guerra, di belligeranza e di contrasto in ogni area di crisi attuale. Il problema è a quali interlocutori il dialogo è legato. Quest'ultimo, nella fattispecie dell’area, passa anche attraverso la voce e la posizione dei ribelli, che sono legati anche ai portatori delle tragedie collegate all’Is. Finché l’Is è forte in aree anche lontane dal Nord Africa, il dialogo è legato a un’altalena molto instabile nella stessa Nord Africa e quindi anche in Mali.

D. – Quale deve essere il ruolo della comunità internazionale?

R. – Il ruolo della comunità internazionale dovrebbe essere anzitutto di grande onestà culturale, di grande equilibrio ed equità, oltre che di equidistanza dalle parti, per porsi come "super partes" e alimentare momenti, situazioni, prospettive di incontri produttivi di pace. Questo in Mali non è ancora una situazione di attualità, nonostante il possibile dialogo tra il governo e i ribelli.

D. – Ma i ribelli, chi sono? E che cosa chiedono al governo?

R. – Sono i Tuareg esasperati, non più fiduciosi in nessun sostegno esterno a livello internazionale. Hanno così finito per sponsorizzare i fenomeni più violenti sotto il profilo del terrorismo internazionale. Ci vorrebbe un margine di coraggio da parte della comunità internazionale nel riconoscere il giusto diritto dei Tuareg ad avere un riconoscimento ampio, lucido e profondo della loro identità culturale, sociopolitica, e delle loro aspettative: cose che i tuareg, nel loro complesso, si aspettano da secoli oramai. Quindi, la problematica è molto profonda: oltre che socioeconomica è addirittura antropologica, linguistico-culturale “tout court”. Se la comunità internazionale – a partire dalle potenze che più gravitano vicino al Mediterraneo, e attraverso di esso, sull’Africa settentrionale – si attestano su questa posizione di illuminata rivisitazione del passato politico, del condizionamento su quelle aree di errori politici che il passato coloniale e post-coloniale ancora fanno permanere, probabilmente gli spiragli di colloquio e di risoluzione potrebbero trovare sviluppo. Più questo accadrà, più – forse – una speranzosa prospettiva di stabilizzazione del Mali nella fattispecie, e della intera regione, nel suo complesso, diverrà credibile.








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