2015-06-05 16:32:00

Caritas Roma: "Non si può lucrare sulla pelle dei poveri"


 

Spuntano nuovi nomi nella seconda parte dell’inchiesta su Mafia capitale, mentre oggi a Regina Coeli si sono svolti gli interrogati dei primi esponenti politici finiti in manette. Domani sarà la volta dei detenuti a Rebibbia. Il prefetto di Roma, Gabrielli, ha intanto inviato al Consiglio comunale la richiesta di sospensione per le persone colpite ieri dagli arresti. Servizio di Francesca Sabatinelli:

Sono 21 i nuovi provvedimenti tra indagati e perquisizioni nell’ambito di Mafia Capitale. Tra i colpiti Marco Visconti, ex assessore all’ambiente della giunta Alemanno, che per vendersi avrebbe ricevuto 200 mila euro da Salvatore Buzzi, si legge nelle carte dei carabinieri del Ros. Compare poi il nome di Giuseppe Castiglione, sottosegretario all’agricoltura di Ncd, che è anche coordinatore del partito in Sicilia. Castiglione è sotto inchiesta per turbativa d’asta per la gestione del Cara di Mineo, filone che coinvolge la cooperativa La Cascina, il cui vicepresidente è stato interrogato oggi assieme agli altri finiti in manette, come Mirko Coratti, ex presidente dell’assemblea capitolina, che ha respinto ogni accusa di corruzione negando di aver mai avuto rapporti con Buzzi. Tra gli indagati anche l’ex capo di gabinetto del governatore Zingaretti, Maurizio Venafro, che si era dimesso tre mesi fa dopo aver saputo dell’indagine a suo carico. E poi altri presidenti di cooperative sociali, sia bianche che rosse. Entro i 45 giorni successivi al 15 giugno, il prefetto di Roma, Gabrielli deciderà su un eventuali scioglimento del consiglio comunale per infiltrazioni mafiose. Dal Campidoglio si ribadisce il no alle dimissioni, la giunta marino resta unita e va avanti, è la posizione degli assessori.

 L’inchiesta “Mafia capitale” ha messo sotto accusa una parte del terzo settore romano, rischiando di mettere in cattiva luce l’intero mondo della solidarietà e dell’accoglienza ai poveri. Il commento di mons. Enrico Feroci, direttore di Caritas Roma, al microfono di Michele Raviart:

Quando l’ho sentito per la prima volta, il primo sentimento è stato di dolore nel vedere che delle persone potevano lucrare sulla pelle dei poveri, sulla sofferenza. Avvicinarsi a un povero e guardarlo solamente come una possibile fonte di guadagno, ecco, veramente non potevo nemmeno pensarlo. Una domanda che interroga me stesso, la mia coscienza e la nostra coscienza di Chiesa, è: “Come mai siamo caduti così in basso?” Forse è proprio questo individualismo, questa ricerca del potere, dei soldi: probabilmente non siamo stati capaci di educare le generazioni, le persone che ci stanno vicino, ai valori veri. C’è una carenza di Dio e quando c’è una carenza di Dio c’è una carenza anche di rispetto dell’uomo. Queste prime considerazioni devono essere fatte, altrimenti alziamo il dito e incolpiamo e diciamo: “Tu sei stato, tu hai fatto, tu hai detto. Ecco, arrivino le leggi… meno male che è arrivata la magistratura. Le carceri devono essere riempite, buttiamoli dentro e buttiamo la chiave”. Mi sembra che invece il problema sia molto più vasto e ampio.

D. – Tra l’altro alcune delle società indagate sono considerate vicine al mondo cattolico: Come può il presunto malaffare arrivare in queste situazioni che in teoria si dovrebbero richiamare a ben altri valori?

R. – Purtroppo siamo uomini peccatori. E’ ovvio che quando uno dice: “Sono di Cristo” e poi si comporta in maniera totalmente difforme da quello che ha fatto e ha detto Gesù Cristo, c’è una duplice valenza: non solo di carenza di umanità ma anche di tradimento. E tutto quello che è avvenuto si ripercuote in maniera deleteria nei confronti dei poveri. Il povero stesso ci domanda: “Ma la mano che tu mi tendi è una mano sincera? E’ una mano vera? E’ una mano per aiutare me o perché attraverso di me tu vuoi stare bene?”. Guai a pensare: “Meno male che ci sono i poveri così noi stiamo bene”.

D. – Inchieste come queste poi rischiano di minare la credibilità e la fiducia dei cittadini nei confronti di tutto quello che è il terzo settore. Come si recupera la credibilità?

R. – Io l’ho sperimentato. Riqualificando una struttura ad Ostia, qualcuno ha domandato, ha fatto un’interpellanza dicendo: “Ma quali sono gli interessi della Caritas? Perché chiede questa struttura?”. Il dubbio si è insinuato anche dentro di noi. Come possiamo sconfiggerlo? Io credo continuando con la correttezza e con l’impegno che abbiamo avuto fino ad adesso. Di questo sono sicuro al cento per cento.

D. – Anche perché insieme a queste realtà coinvolte ce ne sono tante altre che operano nella legalità e nella correttezza…

R. – Noi abbiamo 49 centri qui a Roma. Di questo, forse la città non se ne rende conto, della ricchezza di bene enorme che noi abbiamo in questa nostra città. Vorrei tanto che i turisti e i pellegrini che vengono a Roma possano godere si delle bellezze storiche, archeologiche, culturali, ma che prima di tornare nelle proprie città, visitassero anche queste opere di carità, che sono molte.








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